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I prodotti hitech stranieri non sono graditi in Cina. Almeno non per il procurement pubblico: nell’arco degli ultimi due anni Pechino ha eliminato alcuni dei maggiori marchi tecnologici mondiali dalla lista dei prodotti approvati per gli acquisti destinati al governo centrale; di contro, ha inserito migliaia di nuovi prodotti made in China. Se il crescente ostracismo cinese è apparso inizialmente come la risposta di Pechino alle rivelazioni di Edward Snowden sulle massicce azioni di spionaggio – attuate anche attravero dispositivi hitech – da parte delle autorità americane, ora molti analisti sono propensi a credere che la cyber-security sia solo un pretesto per nascondere una rinnovata spinta protezionistica della Cina verso l’industria tecnologica nazionale.

I BRAND OCCIDENTALI PIU’ COLPITI

L’azienda più colpita dal colpo di spugna dato da Pechino ai prodotti hitech esteri è l’americana Cisco Systems, uno dei primi vendor mondiali di attrezzature di rete, che nel 2012 contava 60 prodotti sulla lista del Central Government Procurement Center (Cgpc) ma a fine 2014 non ne ha neanche uno.

Pechino si è sbarazzata – almeno per i ministeri – anche di Apple, produttrice di smartphone e Pc, e di McAfee, che fa prodotti di sicurezza informatica ed è parte del gruppo Intel. Pechino non si serve più nemmeno dell’azienda del software per server Citrix System.

La lista della Cgpc, approvata dal ministero cinese delle Finanze, non è vincolante per i governi locali o le aziende statali, né per le forze militari che hanno il proprio sistema di procurement.

IL MASSICCIO INGRESSO DEI BRAND NAZIONALI

Nel complesso, i brand tecnologici stranieri approvati da Pechino per gli approvvigionamenti del governo centrale sono diminuiti di un terzo e i prodotti legati alla sicurezza informatica fatti all’estero si sono più che dimezzati. Ciononostante, dal 2012 al 2014, il numero di prodotti sulla lista del Cgpc è salito da poco più di 2.000 a poco meno di 5.000, per il massiccio ingresso dei brand locali. L’agenzia cinese del procurement ha indicato che ci sono diverse ragioni per preferire i prodotti cinesi, per esempio c’è più scelta e la tecnologia di sicurezza nazionale offre maggiori garanzie.

“Le rivelazioni di Edward Snowden e la sorveglianza dell’Nsa, a volte con la complicità di aziende hitech occidentali, sono diventate per la Cina vero motivo di preoccupazione”, afferma Tu Xinquan, Associate director del China Institute of WTO Studies alla University of International Business and Economics di Pechino. “In un certo senso il governo americano è responsabile per quanto accade, i timori cinesi sono in parte legittimi”.

LA CYBER-SICUREZZA? UN PRETESTO

La ricerca di prodotti sicuri e protetti dalla “sorveglianza” americana appare però a molti addetti ai lavori del mondo hitech un pretesto con cui Pechino vuole sostenere lo sviluppo della sua industria tecnologica e aiutare le aziende locali ad accaparrarsi fette sempre più consistenti del mercato Ict cinese (che secondo Idc crescerà quest’anno dell’11,4% per un giro d’affari di 465,6 miliardi di dollari) e assumere dimensioni che le mettano in grado di espandersi all’estero.

La Cina sta anche cercando di abbracciare un’economia più basata sui consumi e questo processo è favorito se le autorità e le aziende cinesi comprano tecnologia locale. In questa direzione vanno le misure imposte da Pechino che costringono le aziende estere a formare alleanze con quelle nazionali per entrare sul mercato cinese, a partecipare a trasferimenti di tecnologie e a consegnare proprietà intellettuale in nome della sicurezza informatica.

IL CASO HUAWEI: UNA RITORSIONE?

Ai top manager occidentali che gridano al protezionismo, Wang Zhihai, presidente e Ceo di Beijing Wondersoft, che fornisce prodotti di sicurezza informatica al governo cinese, alle banche statali e alle aziende private, replica che il mercato in Cina è equo, specialmente se paragonato a quello degli Stati Uniti dove la cinese Huawei Technologies, il più grande produttore mondiale di attrezzature di networking e per le telecomunicazioni, è impossibilitata a vendere quasi tutti i suoi prodotti per le preoccupazioni di Washington sulla sicurezza dei dati nazionali.

Uno studio del Congresso Usa del 2012 ha infatti messo in guardia sui rischi connessi con l’uso delle attrezzature di rete di Huawei (e di un’altra cinese, Zte), che potrebbero essere il veicolo di azioni di spionaggio e furto di proprietà intellettuale. Quando poi è stato raggiunto l’accordo per la fusione tra la giapponese SoftBank e l’operatore americano Sprint, il regolatore americano ha imposto come condizione al via libera che il nuovo gruppo non ricorresse alle attrezzature di Huawei.

IL PRESSING DI PECHINO

Già l’anno scorso erano trapelate notizie sull’opera di “epurazione” condotta da Pechino sulla lista dei prodotti hitech approvati per il governo centrale. A metà 2014, Microsoft ha visto Windows 8 categoricamente escluso dai sistemi operativi degli uffici cinesi; poi nel mirino delle autorità cinesi sono finiti due tra i maggiori nomi della cyber-security e dei programmi antivirus, l’americana Symantec e la russa Kaspersky, considerati fornitori di software non più affidabili (come produttori di antivirus venivano autorizzate soltanto aziende cinesi: Qihoo 360 Technology Co, Venustech, CAJinchen, Beijing Jiangmin e Rising).

Inoltre, in Cina alcune tech companies americane come Microsoft e Qualcomm sono state colpite da indagini antitrust (Qualcomm è anche stata appena multata per quasi 1 miliardo di dollari); altre hanno semplicemente visto restringersi le loro vendite, come Cisco e Ibm.

Resta da valutare quanto il bando cinese possa nuocere ad Apple, che proprio in Cina ha registrato vendite record nello scorso trimestre: nell’area Greater China, che include Taiwan e Hong Kong, la Mela ha visto i ricavi crescere del 70% a 16,1 miliardi, con le vendite degli iPhone raddoppiate. Nonostante un servizio molto critico della statale CCTV sull’iPhone l’anno scorso che ne attaccava le presunte falle sulla privacy, Apple in Cina si è sapientemente alleata con il colosso della telefonia China Mobile e questo le ha facilitato l’ingresso e l’affermazione sul mercato locale.

PROTEZIONISMO, UN’ARMA A DOPPIO TAGLIO

Gli executive dell’industria tecnologica occidentale guardano con preoccupazione all’ostracismo cinese che rischia di minare la loro capacità di fare affari su un mercato enorme e in espansione, ma al tempo stesso pensano che il protezionismo cinese faccia male innanzitutto alla Cina, che rischia di diventare troppo dipendente dalla tecnologia nazionale, ancora inferiore, dicono gli esperti, a quella dei leader di mercato internazionali e più vulnerabile nei confronti dei cyber-attacchi. Ma Wang di Wondersoft è fiducioso: “In 10 anni o qualcosa di più, le nostre tecnologie saranno pari a quelle occidentali”.

Cisco, Apple e McAfee, tutte le vittime del protezionismo hitech cinese

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