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Ho letto con particolare interesse il recente commento di Francesco De Palo su Formiche, a proposito del presunto “illiberalismo” dei liberali, riferito alle recenti scelte “organizzative” del partito e condito con un’impietosa chiosa finale sui risultati raggiunti (cit. “Peccato che proprio quel contenitore che si ispira ai valori meritocratici e germogliati attorno al seme della libertà abbia scelto di fare a meno di quei principi. Svoltando nuovamente verso l’anonimato.”).

Premessa. Da appassionato osservatore, trovo affascinante la storia di un partito nobile come il PLI, ancora fondato su delle idee e una filosofia, in forte controtendenza all’attuale impostazione dei partiti-nazione polarizzati sui personalismi dei loro leader e su un apparente pragmatismo di fondo che vorrebbe (wishful thinking…) assurgere a “machiavellico”. Ritengo che questo patrimonio debba dunque essere rispettato, conservato, vivificato e – perché no? – consultato, proprio in ragione di un ruolo che non è solo “politico”.

Sul presunto illiberalismo interno al partito, senza volermi addentrare in presunte beghe interne sulle quali ogni mio commento risulterebbe irrilevante, vorrei tuttavia provare a interpretare provocatoriamente gli eventi sotto un’altra chiave di lettura, pur sempre “liberale”. E mi servo di Tocqueville: se tra i vari difetti della democrazia c’è il cd. livellamento verso il basso (che ai fini di uguaglianza, sacrifica le capacità e i meriti dei migliori cercando di soddisfare le richieste dettate dal risentimento) e se il suffragio universale non garantisce necessariamente i provvedimenti più idonei per gli interessi generali della collettività, bensì scarsa efficienza, irrisolutezza, instabilità amministrativa e legislativa…allora credo che ogni valutazione in merito ai risultati ottenuti da un partito secondo la propria struttura organizzativa (a proposito, caro De Palo, credo che il segretario non sia Stefano De Luca, bensì Giancarlo Morandi), sia specialmente di questi tempi molto, molto opinabile.

Altro discorso è se l’opinione pubblica deve prevalere sull’interesse generale: ma a quel punto staremmo parlando di partito pubblicitario con tanto di slogan e risuoni mediatici, e non di un partito custode di un’idea (tra le poche rimaste, peraltro) e fedele alla stessa.

Ecco perché, dinanzi ad un partito ancora fondato su un pensiero, credo valga la pena apprezzarne la lineare coerenza, piuttosto che la camaleontica tendenza a inseguire la realtà e il risultato, anche a costo di sfiorare l’anonimato. Del resto, è evidente la frammentazione fisiologica del mondo liberale all’interno del panorama parlamentare. E allora, anziché fermarsi a spiacevoli contrasti, perché non conservare e vivificare un partito piccolo (in termini di voti) ma significativo (in termini di sostanza), che è ancora capace di far riflettere e creare discussione?

Un piccolo partito, una grande risorsa

Ho letto con particolare interesse il recente commento di Francesco De Palo su Formiche, a proposito del presunto “illiberalismo” dei liberali, riferito alle recenti scelte “organizzative” del partito e condito con un’impietosa chiosa finale sui risultati raggiunti (cit. “Peccato che proprio quel contenitore che si ispira ai valori meritocratici e germogliati attorno al seme della libertà abbia scelto di fare…

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