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Articolo estratto dalla Geopolitical weekly del Centro Studi Internazionali

Il palazzo presidenziale di Aden in cui si trovava il presidente dello Yemen Abd-Rabbu Mansour Hadi è stato bombardato giovedì 19 marzo. Benché le fonti siano piuttosto confuse a riguardo, sembra chiaro che un caccia (non identificato) ha colpito il compound presidenziale, situato nel distretto di al-Maasheeq.

Le truppe fedeli a Hadi hanno fatto sapere di aver portato il presidente in un luogo sicuro. L’indomani due attentatori suicidi si sono fatti esplodere a Sana’a, all’interno di due centralissime moschee (Badr e Hashush) frequentate dal gruppo sciita zaydita degli Houthi, che da settembre controllano il nord dello Yemen e la capitale. Gli attentati, avvenuti durante la preghiera del venerdì, hanno causato decine di vittime.

Il bombardamento è avvenuto al termine di una giornata fitta di scontri. I reparti dell’esercito fedeli a Hadi, nel tentativo di prendere il pieno controllo della città, avevano conquistato l’aeroporto internazionale di Aden e la base delle Forze Speciali nel distretto di Khor Maksar con l’ausilio di carri armati e veicoli blindati. L’area era occupata da reparti delle Forze Speciali (circa 2mila uomini) rimaste fedeli al comandante del presidio della città, il generale Abdel-Hafez al-Saqqaf. Gli scontri erano iniziati da qualche giorno, quando al-Saqqaf si era rifiutato di abbandonare il suo incarico do-po essere stato ufficialmente destituito da Hadi.

Al-Saqqaf è considerato vicino all’ex presidente Ali Abdullah Saleh, dimessosi all’inizio del 2012 dopo aver passato oltre 30 anni alla guida del Paese. Da quando Hadi ha lasciato Sanaìa, a fine febbraio, si sono verificati continuamente scontri a bassa intensità fra le due fazioni. Il bombardamento del palazzo presidenziale di Aden, però, rischia di interrompere bruscamente il dialogo per le trattative di pace fra Hadi e i leader degli Houthi, tuttora in corso e guidato dal mediatore Onu Jamal Benomar.

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Che cosa succede in Yemen

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