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In Italia, i contribuenti/persone fisiche sono 41,8 milioni. Il 50% denuncia un reddito imponibile annuo inferiore a 15mila euro, un ulteriore 40% tra 15mila e 35mila: pertanto, il 90% sta sotto i 35mila euro. Solo l’1% denuncia un reddito superiore a 100mila euro (il 70% di questi contribuenti è costituito da lavoratori dipendenti e da pensionati).

Se si sale ancora nella scala del reddito si arriva a qualche decimale di punto percentuale ovvero a qualche decina di migliaia di contribuenti. A carico della metà dei contribuenti (con reddito fino a 15mila euro) è il 6% del gettito, mente il 9,6% che denuncia un reddito superiore a 35mila euro si accolla il 52% delle imposte.

Quanto ai titolari di partita IVA (4milioni) il 51% denuncia un reddito inferiore a 15mila euro, il 19% al di sopra di 35mila euro (il 30% ha un reddito intermedio). Quanto agli imprenditori (siamo sempre nel campo delle persone fisiche) solo il 13%  denuncia un reddito compreso tra 35mila e 100mila euro, mentre solo l’1% supera i 100mila euro. Più consistenti le cartelle dei professionisti: il 38% con un reddito compreso tra 35mila e 100mila euro, l’11% al di sopra dei 100mila.

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Basta osservare questi dati per accorgersi che vi è un problema serio di evasione nella fascia alta dei contribuenti (dove chi non sfugge al fisco, tuttavia, sopporta un prelievo molto elevato per effetto della progressività dell’imposta): è evidente che, in Italia, i ricchi e i benestanti sono molto più numerosi di quelli accertati dal fisco. Ma non vengano a raccontare che più di venti milioni di italiani hanno un reddito imponibile inferiore a 15mila euro l’anno. Purtroppo anche, nella lotta all’evasione, vale la legge dei grandi numeri.

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Segnaliamo al ministro Poletti (e  a quanti vogliono manomettere la riforma Fornero sul punto-chiave dell’età pensionabile) i dati seguenti: a metà del secolo gli italiani con meno di 65 anni diminuiranno di 6,5 milioni, quelli in età superiore cresceranno di 8,2 milioni (gli ultranovantenni di 1,7 milioni di unità); tutto ciò inciderà su di una struttura della popolazione che già oggi è profondamente modificata.

Negli anni ’70 nessuno avrebbe mai ipotizzato che l’Italia (la nazione che nel secolo precedente aveva sparso per il pianeta 26 milioni di esseri umani) sarebbe diventata una comunità multietnica (sono quasi 5 milioni gli stranieri regolari residenti, di cui quasi 2 milioni sono inseriti nel mercato del lavoro). Nel 1974, quando erano in corso le celebrazioni dell’anno mondiale della popolazione, non era prevedibile che, nell’arco di qualche decennio, si sarebbe affacciata la prospettiva della crescita zero. In quell’anno vi furono circa 900mila bambini nati vivi. Nel 2010, sono stati 550mila (grazie anche al contributo degli stranieri residenti).

Già dal 1971 al 2010 il numero degli anziani (65 e più anni) è raddoppiato (da 6 a 12 milioni), è quadruplicato quello dei vecchi (85 e più anni) passando da 350mila a 1,6 milioni. Si è rarefatto il numero dei giovani (da 0 a 19 anni): da 17 a 11 milioni, nonostante che la popolazione nel suo complesso sia aumentata di 6 milioni e crescerà di altri 2 milioni entro il 2030 grazie alla componente straniera. Negli ultimi 20 anni i giovani italiani fino ai 29 anni si sono quasi dimezzati: da poco meno di 30 milioni a poco più della metà.

Fisco, che cosa non mi convince dei numeri sull'evasione

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