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Dopo l’elezione trionfale di Sergio Mattarella alla Presidenza della Repubblica dicono che al ministro Dario Franceschini sia venuta una splendida idea: organizzare un’inaugurazione in grande stile dell’Expo 2015 con una rappresentazione dell’Amleto di William Shakespeare, nello splendido scenario del Quirinale trasformato nella Reggia di Elsinore. Al neopresidente sarà riservato il ruolo del fantasma.

Scherzi a parte, la candidatura  e l’elezione di Mattarella sono state l’ultima beffa che Matteo Renzi ha propinato agli italiani. Certo, poteva anche andare peggio: con Graziano Delrio, per esempio; o con Pietro Grasso. Ma un presidente come Sergio Mattarella è la testimonianza diretta di quanto non occorre al Paese. Dopo Giorgio Napolitano, personalità di grande esperienza e di ampie relazioni internazionali, il premier-segretario ‘’ha nominato’’ il Cavaliere inesistente alla più alta carica dello Stato, soltanto per non avere ‘’tra i piedi’’ una personalità in grado di ‘’fargli ombra’’. E compie così un passo decisivo nella sua corsa alla ‘’prise du pouvoir’’. Renzi – che  ha già ridotto a pallidi replicanti i suoi ministri (con la sola eccezione di Pier Carlo Padoan Schioppan) – sta clonando i rappresentanti delle istituzioni democratiche, in attesa che la riforma elettorale gli consegni un potere personale inquietante.

Non ci vengano a raccontare che l’indicazione di Mattarella era rivolta ad ottenere l’unità del Pd, anche a costo di mettere a repentaglio il patto del Nazareno. Se questa fosse divenuta la priorità e se litigare con l’ex Cav non fosse più un problema, allora mille volte meglio ‘’saltare il fosso’’ con Romano Prodi, il quale – diversamente da Renzi e da Federica Mogherini – avrebbe saputo come agire quando scoppierà la crisi greca (su di un versante che non sarà solo economico, ma anche politico e militare, perché la Grecia di Alexis Tsipras si appresta a trasformarsi in una Cuba del Mediterraneo, al servizio della Russia di Putin).

Ma Renzi sapeva bene che né Alfano, né lo stesso Berlusconi sarebbero mai stati in grado di rompere, il primo, l’alleanza di governo; il Patto del Nazareno il secondo. Sia l’ex Cav che l’ex delfino (che lo ha tradito per la seconda volta) hanno commesso, fin dall’inizio, un errore poi risultato fatale: quello di sollevare una questione di metodo, quando la candidatura di Mattarella presentava gravi ed insuperabili vizi di merito.

Sappiamo, però, che, per quanto ritenute importanti, in politica, le questioni di metodo sono sempre pretestuose. Di solito, vengono sollevate se non si hanno argomenti validi a sostegno di quelle di merito; oppure quando si è pronti a calare le braghe. Quella di Mattarella era certamente una delle proposte più inaccettabili per il centro destra.

Il presidente eletto  è appartenuto alla schiera più irriducibile degli avversari dell’ex premier. Un tempo sarebbe stato definito come un ‘’cattocomunista’’, una sorta di Rosy Bindi al maschile. Mattarella, poi, è l’ultima delle personalità, in qualche modo ancora in servizio permanente effettivo, che non è solo ostile (con la solita protervia di una presunta superiorità etica) a Berlusconi e al suo partito, ma anche alle sue aziende. Si aspetti, dunque, il prode Silvio che, dal Quirinale, venga una solida copertura ad una legge sul conflitto d’interessi.

Ora Berlusconi si atteggia ad una sorta di ‘’vergine cuccia’’ presa a pedate dal suo Royal baby. In queste ore, i suoi, che non sono stati neppure capaci di consegnare compatti la scheda bianca nella votazione decisiva, minacciano ritorsioni sulle riforme, dopo le generose concessioni fatte al Senato. Dimenticano, però, che alla Camera il premier-segretario non ha bisogno dei loro voti e che la sinistra del partito (fino ad ora la sola vera opposizione al governo) ha già raggiunto il suo obiettivo con la crisi del Patto del Nazareno.

Qualcuno ha ipotizzato che Renzi abbia concesso troppo ai suoi avversari interni, mentre loro non hanno disarmato sul terreno dell’Italicum e delle riforme istituzionali. Anzi, proprio nelle stesse ore in cui celebravano la vittoria del Quirinale, gli esponenti della sinistra democrat riproponevano le loro condizioni sugli altri aspetti del dibattito politico (qualcuno sostiene pure – noi non gli crediamo – che il presidente Mattarella sarebbe sensibile alle loro posizioni).

Ma davvero possiamo pensare che Silvio Berlusconi – il quale ha cercato di intestarsi quegli scempi legislativi come se fossero sempre appartenuti al programma dei suoi partiti – possa ora fare una clamorosa marcia indietro come reazione ad uno sgarbo di metodo nella individuazione di un candidato al Colle che, alla fine, è stato votato da tanti dei suoi parlamentari? E, d’altro canto, fino a che punto la sinistra del Pd potrà tirare la corda dalla sua parte? Sia sul versante di destra che su quello di sinistra il premier ragazzino si misura con avversari che hanno più da perdere di lui. E’ come un giocatore di poker che può sostenere fino in fondo il bluff intrapreso, perché dispone di maggiori risorse (e di tanta più fortuna) degli altri, che, con i punti modesti che hanno in mano, non se la sentano di andare a vedere; così, uno dopo l’altro, ad ogni rilancio di Renzi, scelgono di passare.

Quanto ad Angelino Alfano è meglio che vada a nascondersi, con la sua ‘’sicilianitudine’’ e con la propensione ad abbassare la schiena e a porgere l’altra guancia se minacciato di essere estromesso dal governo. Qualcuno a questo punto potrebbe chiedermi: ‘’Ma tu al loro posto che cosa avresti fatto?”. Nulla di diverso, perché la situazione è quella che è; e Renzi è il più forte. Ma io non sarei mai arrivato a questo punto. Per me il premier è un pericolo per la democrazia, e doveva essere combattuto, fin dall’inizio, con una guerra senza quartiere. Anche a costo di perdere.

Come avrei votato per il Quirinale se fossi stato in Parlamento

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