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Riceviamo e volentieri pubblichiamo

Dal 2002, la Common Security and Defence Policy dell’Unione Europea, che comprende, ovviamente, anche Paesi non-Nato, ha messo in opera trenta operazioni fuori area con strumenti sia civili che militari di “manutenzione” del conflitto.
Si tratta qui di gestire un conflitto a bassa intensità, mantenerlo piccolo e irrilevante, e soprattutto di evitare che i mass-media europei, che ormai dirigono la politica estera di governi dilettanteschi, siano invasi da foto terribili; e si tratta infine di evitare che una potenza regionale periferica ottenga una egemonia locale, il che sarebbe, peraltro, necessario per pacificare davvero certe aree.
Lasciare tutti deboli non è una ricetta per la stabilità, anzi, ma per il ripetersi degli scontri, in futuro.

Quindi, la dottrina peace keeping e peace enforcing, che andava di moda anni fa, è stata ormai messa in soffitta de facto dall’emergere di piccole potenze locali che fanno la guerra davvero, e lottano all’ultimo sangue per la loro sopravvivenza.
Si pensi alla Siria di Bashar al-Assad, che pure sta tramontando nella sua ormai ristretta area di potere, all’Iraq di Al Abadi, o allo stesso Afghanistan attuale che, dopo una lunghissima serie di operazioni militari, sta aspettando di essere sezionato dalla Cina (il corridoio di Wakhan) dall’India, che aveva sostenuto il progetto dell'”Alleanza del Nord” contro le forze pashtun sostenute dal Pakistan, dello stesso “Paese dei Puri” islamici, che opera con il Ttp, Tehrik-e-Taliban, e con gli “studenti” organizzati dal suo servizio segreto militare, e perfino della stessa federazione russa, che vuole la stabilità in Asia Centrale ad ogni costo.
E’ la filosofia, ormai un po’ appassita, delle operazioni di peace enforcing e di peace keeping, una droga leggera strategica, delle operazioni che erano passibili di qualche successo dove lo scontro militare era tradizionale e para-statuale, ma è del tutto improponibile nella nuova configurazione dello scontro globale nelle aree periferiche, dove il jihad violento e la guerra per bande, come in Iraq e Siria e in Libia, non permette più la confusione tra scontro militare vero e proprio e azioni “umanitarie”.

Le azioni europee in atto sono diverse: abbiamo la Eufor Althea, la missione militare Ue in Bosnia e Erzegovina, che dura dal dicembre 2004 fino ad oggi, il seguito della Sfor della Nato. 900 uomini di 26 nazioni.
Poi c’è l’Eubam, European Union Border Assistance Mission to Moldova and Ukraine, un confine di 1222 chilometri e una azione EU posta in atto alla fine del 2005 e ancora attiva, pensata per proteggere l’area dal contrabbando proveniente dalla Transnistria.
C’è anche la Eulex, Euiropean Union Rule of Law Mission in Kosovo, attiva dal 2008 fino ad oggi e certamente almeno fino al giugno 2016, con 3200 poliziotti e operatori giudiziari 1950 internazionali, (gli altri kosovari) ed è bene sapere, o ricordarsi, che la Spagna, la Cechia e la Grecia ed altri non riconoscono il Paese kosovaro, e ci sono anche procedimenti legali riguardanti le azioni del Fronte Kosovaro di Liberazione, accusato di traffico di organi, ma molto amato dagli USA.

Non manca una missione di monitoraggio europeo in Georgia, la European Union Monitoring Mission in Georgia, Eumm Georgia, una missione disarmata e civile attiva dal 2008 con 200 “osservatori” finalizzata alla “confidence building” la costruzione della fiducia tra le parti che l’illuminismo ingenuo degli europei pensa di generare con due o tre chiacchiere, tra le popolazioni dell’Ossezia Meridionale e dell’Abkhazia.
Le famose “alcinesche seduzioni” degli eterni astratti principi, come le chiamava Benedetto Croce.
L’Africa non poteva mancare. Nella Repubblica Democratica del Congo è in azione la European Union Security Sector Reform Mission in the Democratic Republic of Congo, Eusec Rd Congo, che è attiva dal 2005 ad oggi. Si tratta di “modernizzare” le forze armate congolesi, e nessuno ha finora capito cosa davvero voglia dire qui la “modernizzazione”, con l’addestramento alle tecnologia informatiche per le truppe con oltre trenta addestratori e una buona quantità di operatori locali.

Non manca nemmeno la European Union Congo Police Mission, che doveva finire nel 2008 ma sembra ancora attiva, poi c’è la European Union Naval Force Somalia, Eunavfor Operazione Atalanta, contro la pirateria navale (ormai distrutta, almeno per noi italiani, dalla miserrima figura sui due nostri marò detenuti in India) e contro la pesca di frodo.
Finora Eunavfor ha catturato oltre 25 navi e più di trecento pirati, un buon risultato, dovuto anche alle operazioni sul territorio somalo.
In Somalia opera anche la Eutm Somalia, European Union Mission in Somalia, attiva dal 2010 ad oggi ed oltre. Si tratta di addestrare le forze armate somale e di contribuire alla “stabilizzazione” dell’area, qualunque cosa questo voglia dire.
Eucap Nestor è invece una missione di addestramento per il Corno d’Africa e l’Oceano Indiano Occidentale, in fase di approntamento ma attiva dal 2012, per “rafforzare le capacità navali di otto Paesi dell’area”.

Abbiamo poi la European Union Capacity Building, Eucap Sahel Niger, attiva dal 2012 ed ancora operante, per sostenere “la strategia del Niger per la sicurezza e lo sviluppo”, coordinare le forze della zona contro il terrorismo, addestrare le forze di polizia locali.
Tutto bene, ma dov’è, almeno in astratto, l’interesse della Ue in queste operazioni? Solo il buon cuore e il mito del trinomio rivoluzionario del 1789?
Vi è poi anche la European Union Training Mission in Mali, Eutm Mali, operativa dal 2013, sempre per “modernizzare” le forze armate maliane, al fine di restaurare la loro integrità nazionale e territoriale.
Tutto bene, ma a noi che ce ne viene? Possiamo utilizzare il Mali come punta di diamante degli interessi economici e strategici europei nella zona, o no?

Non manca, ma sembra impossibile in prima battuta, la missione in Libia: c’è la European Union Military Operation in Libya, dal 22 maggio 2013, che dovrebbe sostenere la “ricostruzione” post-conflitto del Paese ex-gheddafiano. Non ci risultano fatti di rilievo in questo campo.
In Asia sono attive ancora la European Union Border Assistance Mission for the Rafah Border Crossing, Eubam Rafah, operativa dal 2005, che “osserva, verifica e valuta le azioni di implementazione del trattato di pace da parte della Autorità Palestinese” per usare il gergo dei documenti ufficiali, ma, se non c’è la sanzione dopo la “osservazione”, credo che l’Autorità Palestinese farà il vecchio gesto dell’ombrello. Per ora, ci sono dei viaggi in Ungheria dei poliziotti palestinesi, organizzati dagli “osservatori” di Rafah.

I palestinesi sono ben curati, dalla cultura “militare” della Ue: esiste ancora, dal gennaio 2006, un European Union Coordinating Office for Palestinian Police Support, Eupol Copps, che si occupa della “riforma” del sistema giudiziario e investigativo delle varie polizia palestinesi. Non sappiamo con quale successo.
Infine, abbiamo la European Union Police Mission to Afghanistan, Eupol Afghanistan, attiva dal 2007 ad oggi, con grande partecipazione di tedeschi, che intende addestrare la polizia locale e impostare la “rule of the law” nel Paese centroasiatico. Quale “law”? Quella derivata dal Corano, o la nostra? E se c’è ancora la separazione dei tre poteri in Montesquieu e nella nostra tradizione liberale e pluralista, c’è una “rule of law” laddove non vi è separatezza possibile tra legge religiosa e legge penale, civile, politica?

Insomma, non si possono fare operazioni politico-militari se non si ha la mentalità di chi, per dirla con Theodore Roosevelt, “parla piano ma porta un grosso bastone”.
E manca anche una logica di coordinamento tra l’Alleanza Atlantica e queste missioni più o meno umanitarie, che sono pensate per “stabilizzare” le situazioni ma non per trasformarle a nostro favore.
Una cultura da missionari militari, ma con grossi stipendi. Con una logica strategica a pioggia che segue più le isterie della pubblica opinione che non una razionale logica geopolitica. Dovremo riparlarne a lungo, di queste missioni della Ue.

plastica

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