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“Vizi dello statalismo”: così Alberto Alesina e Francesco Giavazzi hanno liquidato sul Corriere della Sera, nel contesto di un editoriale sulle liberalizzazioni, i no del presidente del Consiglio Matteo Renzi, appena ribaditi sullo stesso Corriere dal ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, alla scalata borsistica di Mediaset alle torri delle antenne della Rai, messe sul mercato pochi mesi fa.

Non dissimile, ma politicamente più clamoroso, è stato il giudizio del presidente della Commissione Bilancio della Camera, Francesco Boccia. Che non è un deputato di Forza Italia ma un esponente del partito di Renzi: il Pd.

In una intervista al Giornale Boccia ha ripetuto ciò che alle cronache era curiosamente sfuggito di un suo intervento al seminario di partito sulle riforme, contestato o disertato, per le sue modalità di convocazione, dai critici o avversari interni di Renzi. Egli ha detto, in particolare, che “se facciamo un dibattito se è giusto o meno che i tralicci della Rai vadano a Mediaset, è come se pensassimo di volare ancora con un biplano invece che su un jet”.

In verità, viste le dimensioni sempre più globali del mercato, l’immagine del biplano contestata al presidente del Consiglio è già una generosa concessione. Boccia avrebbe anche potuto paragonare a un monoplano l’aereo sul quale Renzi ha deciso di giocare la partita delle antenne, appendendovi come ad un cappio il suo assai presunto riformismo liberale. Le cui contraddizioni sono state puntigliosamente ricordate su Formiche.net da Stefano Cingolani a proposito delle vicende Telecom, Enel, Ansaldo, Breda, Sts, Ilva, Monte dei Paschi di Siena, nuova Gepi e Cassa Depositi e Prestiti.

Alla prova di Rai Way il riformismo liberale di Renzi si rivela quello che Alesina e Giavazzi hanno appunto definito “statalismo”. O qualcosa “fuori del mondo” agli occhi di Boccia, convinto che i manager di Mediaset siano stati non sfrontati ma “bravi” a fare l’offerta di acquisto dei tralicci della Rai, perché “la politica deve fare le regole, disciplinare il mercato, ma lasciare ai privati la produzione”. “Ci sta – ha concluso l’esponente della componente autenticamente liberale e perciò più minoritaria del Pd – che un’azienda privata si compri i tralicci Rai”, per quanto Renzi possa gridare allo scandalo, peraltro senza riuscire neppure con questo a placare la minoranza più consistente del proprio partito: quella ex o post-comunista. Che continua a considerare il presidente del Consiglio geneticamente diverso, anche dopo avere da lui ottenuto la rottura del patto sulle riforme istituzionali con l’odiato Silvio Berlusconi pur di mandare al Quirinale Sergio Mattarella. Con quelle parti politiche, si sa, non c’è prezzo che basti per saldare i conti, specie se rimangono o tornano sul tappeto, per via della disciplina dei contratti e dei licenziamenti, i rapporti con la Cgil e annessi, o connessi.

Sono stati più volte scomodati nelle loro tombe, paragonandoli a Renzi per cultura politica e temperamento, personaggi storici della Dc e del Psi come Amintore Fanfani e Bettino Craxi. Ma lo scontro sulle antenne della Rai contribuisce a riportare Renzi alla sua vera fonte, da lui stesso onorata con la tesi di laurea in giurisprudenza nel 1999, guadagnandosi il punteggio di 109 su 110. Una tesi su “Amministrazione e cultura politica: Giorgio La Pira, sindaco del Comune di Firenze” dal 1951 al 1956.

Predecessore quindi di Renzi al Palazzo Vecchio, La Pira nel 1953 riuscì – on l’aiuto della Madonna, disse lui – ad imporre alla Dc l’ordine all’Eni di Enrico Mattei di acquistare, cioè statizzare, la Fonderia Pignone. Che era destinata alla chiusura dalle regole e dalle logiche del mercato. Regole e logiche alle quali neppure l’Eni riuscì poi a sottrarsi, trasformando assai onerosamente la produzione della Pignone, che dai telai tessili passò agli impianti energetici.

Con Renzi resta solo da scoprire a che cosa, e a quali costi, saranno destinate le torri della Rai, una volta sottratte, nell’ottica del presidente del Consiglio, alla sgradita ma ben retribuita offerta d’acquisto da parte di Mediaset.

Rai Way e Mediaset, il gran ritorno del lapirismo di Renzi

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