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Riceviamo e volentieri pubblichiamo

Non è che non l’avessimo vaticinato, ma fa comunque specie leggere sulla stampa che il 5 maggio dei dirigenti scolastici hanno scioperato contro i, presunti, superpoteri loro conferiti dal Disegno di Legge sulla Buona scuola. Che hanno scioperato soprattutto per rimarcare che “non deve spettare a noi valutare i docenti, perché quest’attività deve seguire regole contrattuali condivise e utilizzando un corpo ispettivo potenziato”.

Evidentemente, non è stato ritenuto bastevole il testo del disegno di legge 1577/14 licenziato il 30 aprile scorso dalla Commissione Affari Costituzionali del Senato e subito rimesso all’Assemblea, che conferma l’esclusione della dirigenza scolastica dal ruolo unico: al di fuori del quale, per definizione normativa, non vi è, nella sostanza, dirigenza.

Insomma, mischiati nella variegata umanità che sembrerebbe aver affollato le varie piazze d’Italia insieme a studenti che hanno così potuto lucrare un giorno di vacanza, questi colleghi non vogliono proprio qualificarsi e sentirsi dirigenti pleno iure, chiamati a garantire un’immediata e celere gestione delle risorse umane, finanziarie, tecnologiche e materiali, svolgendo dunque compiti di gestione direzionale, organizzativa e di coordinamento, con responsabilità delle scelte didattiche, formative e della valorizzazione delle risorse umane e del merito dei docenti; e, di conseguenza, agire le prerogative (meglio, i poteri-doveri) propri di ogni normale dirigenza pubblica, e assumendosi le corrispondenti responsabilità, di cui è analitica parola negli articoli 4 e 17 del decreto legge 165/01 e successive modificazioni e integrazioni, quali:

– l’adozione di tutti gli atti amministrativi, compresi quelli che impegnano l’amministrazione verso l’esterno, nonché la gestione finanziaria, tecnica e amministrativa mediante autonomi poteri di spesa e di organizzazione delle risorse umane, strumentali e di controllo, con correlata responsabilità, in via esclusiva, dell’attività amministrativa, della gestione e dei relativi risultati;

– l’attuazione dei progetti e delle gestioni assegnati, con l’adozione dei relativi atti e provvedimenti amministrativi ed esercitando i poteri di spesa e di acquisizione delle entrate;

– la direzione coordinamento e controllo dell’attività dei dipendenti uffici e dei responsabili dei procedimenti amministrativi, anche con poteri sostitutivi in caso d’inerzia;

– la concorrenza nell’individuazione delle risorse e dei profili professionali necessari allo svolgimento dei compiti dell’ufficio (ampiamente: della struttura o unità organizzativa cui si è preposti), anche al fine dell’elaborazione del documento di programmazione triennale del fabbisogno di personale;

– la gestione del riferito personale e delle risorse finanziarie e strumentali assegnate ai propri uffici;

– infine, e per l’appunto, la valutazione del personale nel rispetto del principio del merito, ai fini della progressione economica e della corresponsione di indennità e premi incentivanti.

Sono tutte fattispecie che trovano adesso esplicito e puntuale riscontro nel menzionato disegno di legge 2994, in punto di individuazione dell’organico funzionale, di definizione del Piano triennale dell’offerta formativa, di costituzione dello staff del dirigente, di attribuzione di compensi collegati allo svolgimento di funzioni latamente organizzative (di supporto e di monitoraggio), di valutazione generalizzata del personale (benché trattasi di norma al momento programmatica, da articolare e dettagliare tramite successiva decretazione delegata). E per questo hanno ingrossato le fila di chi vi ha da subito sparato contro a palle incatenate.

Ovviamente, hanno plaudito dell’aggiunta all’originario sintagma escludente la dirigenza scolastica dal ruolo unico, figurante nel testo che riscrive la dirigenza pubblica, della dicitura “Con salvezza della disciplina speciale in materia di reclutamento e inquadramento della stessa”. Vi hanno plaudito perché hanno ben compreso che non è affatto “un piccolo spiraglio” che allontana il rischio di un’esclusione dei capi d’istituto dal profilo dirigenziale, bensì il mantenimento esplicito della cristallizzata immarcescibile specificità di una dirigenza minore, surrettiziamente astretta nel comparto scuola, vale a dire ancora e sempre in quell’hortus conclusus di una separata area nominalmente dirigenziale ma ex lege depotenziata dei connotati costitutivi di ogni dirigenza vera, che è quella – e soltanto quella – inclusa nel ruolo unico!

Per il vero e ne abbiamo dato pronta notizia – la Commissione senatoriale ha accolto un ordine del giorno che dovrebbe impegnare il Governo, in sede di decretazione attuativa e tenendo altresì conto della normazione su La buona scuola, a:

– definire una disciplina chiara e omogenea che garantisca la coerenza dell’indirizzo politico del Governo provvedendo, con riferimento al profilo, alla condizione e all’inquadramento della dirigenza pubblica, a ricondurre ad una logica unitaria i due provvedimenti citati, nel senso del pieno riconoscimento della funzione gestionale e amministrativa del dirigente scolastico e pertanto valutare la sua progressiva confluenza all’interno dei ruoli unici dello Stato;

– valutare anche una classificazione dei ruoli dei dirigenti, nel senso di due sole distinte classi, uno relativo ai ruoli professionali (medici, dirigenti tecnici, ricercatori) e l’altro a ruoli gestionali (dirigenti amministrativi e scolastici), caratterizzati, questi ultimi, dalla responsabilità della gestione delle risorse umane e strumentali, oltre che da autonomi poteri connessi allo svolgimento delle varie funzioni affidate.

Si sa però che un ordine del giorno è privo di qualsivoglia cogenza. Ma soprattutto si sa già che, oltre ad essere contrastato da tutte le dirigenze vere che non vogliono subire contaminazioni dagli ingombranti parenti poveri, l’inclusione nel ruolo unico è aborrita da tutte e cinque le corporazioni sindacali di comparto, parimenti rappresentative di una dirigenza scolastica autolesionisticamente adusa a rilasciare deleghe, talvolta doppie o addirittura triple, a chi apertamente la qualifica e la considera controparte, ieri datoriale e oggi padronale.

E’ aborrita perché il mantenerla reclusa nella riserva indiana della sua sublime, ma inesistente in punto di diritto, specificità, consente loro di eroderla e quindi condizionarla in funzione di garanzia impiegatizia e di ramificate tutele dell’indistinta e ben più corposa – rapporto 100:1 – massa dei lavoratori della conoscenza (sic!).

Ma lo status quo non dovrebbe, oggettivamente, dispiacere più di tanto a qualche sindacato più autorevole e relativamente più rappresentativo dei dirigenti scolastici, benché nelle dichiarazioni ufficiali si dimostri indefesso paladino dell’inclusione nel ruolo unico, sembrando anzi propendere per la piena assimilazione della dirigenza scolastica alla dirigenza amministrativa, nel presupposto, storicamente inconfutabile, che solo quest’ultima è – e dovrebbe ancora esserlo – dirigenza vera, sotto il duplice profilo normativo ed economico.

Forse saremo maliziosi, e tuttavia non è arduo comprenderne le ragioni, sol se si considera che la confluenza della dirigenza scolastica in un unico contenitore che annovererebbe cinque delle odierne otto aree dirigenziali, in quattro delle quali il sindacato in discorso è praticamente, se non del tutto, assente, ne annacquerebbe fortemente il suo complessivo tasso di rappresentatività e conseguenti prerogative.

Resterebbe, dunque, il solo e ben più impegnativo percorso: dell’attivazione di un contenzioso giudiziale che, esauriti infruttuosamente i tre gradi di giudizio interni, sfoci necessariamente a Strasburgo, davanti la Corte di giustizia per i diritti dell’uomo, che pronuncia seguendo criteri sostanzialistici più che i cavilli formali, come di recente ha dimostrato sanzionando il Governo e il Legislatore nostrani per l’abusiva reiterazione dei contratti a termine nella scuola.

Ma c’è una domanda, e non solo rivolta a quei colleghi – si spera pochi – che hanno scioperato contro se stessi: I dirigenti scolastici sono realmente disposti ad esplorare questo percorso?
Perché l’inclusione nel ruolo unico mostra l’altra faccia della medaglia.

E’ una faccia che già in sede di reclutamento, sia per corso concorso che per concorso, prevede il superamento di una doppia procedura selettiva, rispettivamente dopo quattro anni in cui si è stati inquadrati come funzionari o dopo tre anni di assunzione come dirigente ma a tempo determinato.

Acquisita la qualifica dirigenziale piena (per i già dirigenti al momento dell’entrata in vigore della legge e scaduto l’incarico in corso), l’ attribuzione di nuovo incarico avviene previa valutazione dei requisiti ad opera di una commissione operante con ampia autonomia e per la durata di quattro anni, rinnovabili per lo stesso periodo a condizione che si partecipi alla procedura di avviso pubblico, ed eccezionalmente per altri due anni. Dopodiché per restare dirigenti occorrerà superare un’altra procedura selettiva, vale a dire rifare il concorso.

Ma è, ordinariamente, possibile rimanere privi di incarico e quindi in disponibilità, percependo il solo trattamento economico fondamentale e la retribuzione di parte fissa. La decretazione delegata definirà il periodo massimo, al termine del quale scatterà il licenziamento se non si è avuto un incarico e se non potranno svolgersi, in subordine e in via eventuale, funzioni di supporto presso l’Amministrazione o presso enti senza scopo di lucro, ma non da dirigenti e senza retribuzioni aggiuntive.

Il ruolo unico reca pertanto con sé un’intrinseca precarietà e forse ad essa si riferivano la recente dichiarazione della ministra Giannini, secondo cui dopo alcuni anni si tornerà verosimilmente a fare l’insegnante, e la sommaria terroristica affermazione di sindacati del comparto scuola secondo cui, entrando nel ruolo unico, la dirigenza scolastica si consegnerebbe ad una discrezionalità ricattatoria tutta politica.

Vi sarebbe però da annotare che, nell’un caso come nell’altro, ciò significa che nel ruolo unico comunque si entrerebbe.
Al di là della reale fattibilità di questa feroce previsione normativa – specialmente quando si dovrebbero gestire, e puntualmente e sistematicamente valutare, circa ottomila dirigenti in sede nazionale o in media quattrocento/cinquecento se in sede regionale – potrebbe allora stimarsi conveniente, per i dirigenti scolastici, tenersi prudentemente al riparo nel proprio replicato recinto domestico? Magari sognando di essere sgravati di tutte quelle incombenze burocratiche e amministrative, non di rado pesantemente sanzionate, per diventare semplici coordinatori della didattica?

Potrebbero pure coltivarla, tale illusione. E non solo i dirigenti scolastici che hanno preso parte allo sciopero. Ma, allo stato degli atti e non meno nelle proiezioni di breve e medio tempo, essi continuerebbero a rispondere della rappresentanza legale siccome soggetti di vertice di un ente funzionalmente autonomo e nel contempo organi esterni dello Stato, idonei a dichiararne la volontà; a rispondere della gestione unitaria del servizio istituzionale; a rispondere delle relazioni sindacali e della gestione del contenzioso; a rispondere delle incombenze connesse alla qualifica di datore di lavoro e correlate conseguenze di natura civile e penale; ed ora a rispondere anche – dal combinato disposto del decreto del presidente della Repubblica 80/13 e dell’emananda normativa della Buona scuola – dei risultati dell’apprendimento degli alunni-studenti (output) nonché degli esiti a lungo termine degli stessi (outcome).

Sono responsabilità a cui sono del tutto estranei, o quasi, i dirigenti normali di pari seconda fascia, ovvero non preposti alla conduzione di uffici dirigenziali di livello generale; che continuano a svolgere la loro precipua funzione consistente prevalentemente in delegati e nominati adempimenti di natura seriale, con un numero di dipendenti che sovente si contano sulle dita di una mano e che – in attesa di nuove esperienze rivenienti dalla dilatata e piena mobilità e di opportunità di carriera, entrambe precluse ai dirigenti delle istituzioni scolastiche – si mettono in tasca, pur sempre e comunque, una retribuzione doppia rispetto ai loro colleghi – si fa per dire – specifici.

Il prezzo della paura è piuttosto esoso.

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