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Dopo l’attentato alla redazione della rivista satirica di Charlie Hebdo, il sogno del multiculturalismo faticosamente accettato, nonostante la difficile e annosa questione delle banlieue, sembra essersi infranto. E anche quello della fantomatica “ècole de la diversité”. Sì, perché dopo la manifestazione che domenica scorsa ha coinvolto quasi 4 milioni di francesi – uno slancio senza precedenti nella storia della Repubblica d’Oltralpe – i primi malumori e le forme di insofferenza e negazione nei confronti di quanto accaduto sono emersi proprio nelle scuole, principali focolai delle tensioni culturali e religiose che ribollono nelle periferie francesi.

LE REAZIONI DEGLI STUDENTI DELLE PERIFERIE FRANCESI

Dalla rete, ai social network passando per le testimonianze rilasciate ai quotidiani francesi, molti insegnanti hanno riferito di manifestazioni tutt’altro che solidali rispetto al massacro subìto da Charb e compagni. In un istituto di scuola elementare del Seine-Saint-Denis, dipartimento a nord di Parigi popolato in maggioranza da arabo-musulmani e noto per le famose rivolte delle banlieue del 2005, Le Figaro spiega che l’80% degli studenti si è rifiutato di osservare il minuto di silenzio richiesto lo scorso 9 gennaio dal ministero dell’Educazione nazionale in ricordo delle vittime dell’attentato. Mentre Le Monde riferisce che in altro liceo di Saint-Denis, il “Paul Eluard” – dove tra l’altro è stato ritrovato anche un pacco sospetto -, i docenti hanno dovuto far fronte a espressioni del tipo «quei vignettisti se la sono cercata» o «i terroristi hanno fatto bene».

INTERVENTI SCIOCCANTI

In una scuola media della periferia di Lille, un alunno ha interrotto il famoso minuto di silenzio urlando contro l’insegnate: «Ti faccio fuori con il kalashnikov». Altrettanto impressionante è la testimonianza di un docente di Val-d’Oise che all’emittente Bfm.Tv ha raccontato: «I miei studenti musulmani giustificano la strage all’unanimità, non tollerano alcun tipo di caricatura del Profeta. Non capiscono come si possano pubblicare delle caricature di Maometto e poi lamentarsi se queste persone vengono assassinate».

LO SFOGO DEGLI INSEGNANTI SUI SOCIAL NETWORK

Ma di episodi simili ce ne sono molti. Soprattutto scorrendo Twitter o Facebook. L’insegnante di una scuola della banlieue parigina ha raccontato le difficoltà riscontrate nel rientro in classe dopo la strage del 7 gennaio. «Fin dalle 8 di mattina sono stata accolta da frasi come «Io sto con quelli che li hanno assassinati». «Da stamattina gruppi di studenti urlano nei corridoi “Je ne suis pas Charlie”» scrive un professore sul suo account Twitter “Petit prof” spiegando come si fosse sentito impotente di fronte al rovesciamento del concetto.

LA SFIDA DELLA SCUOLA

All’indomani dell’attentato terroristico i docenti delle periferie francesi si sono trovati di fronte a una sfida enorme: come trovare le parole più giuste per spiegare cosa è accaduto senza imporre le proprie convinzioni? Come spiegare l’orrore quando si è in prima persona in stato di shock? E ancora, come trasmettere in maniera efficace i valori della Repubblica? Un professore dell’Académie de Versailles ha spiegato a France 24 che «di fronte a certe situazioni non c’è un manuale d’istruzioni da seguire. È il cittadino che parla, non il prof. Bisogna essere capaci di aprire al dialogo e moderare il dibattito». E racconta: «Sono rimasto scioccato da quanto accaduto nel mio liceo poiché il preside ha deciso di non aderire al minuto di silenzio “per evitare problemi”. Così, mentre tutta la Francia era in lutto, nella nostra sembrava che nulla fosse accaduto».

IL SOSTEGNO DELLE ISTITUZIONI AI PROFESSORI

Per il sindaco di Parigi, Anne Hidalgo, l’istruzione gioca un ruolo fondamentale in queste circostanze: «La scuola deve essere un luogo in cui si trasmette non solo la conoscenza ma anche i fondamenti della cittadinanza», ha dichiarato il 12 gennaio a France Info, facendo riferimento alla necessità di infondere «ai nostri figli valori, in modo che non risultino elementi astratti». Proprio per guidare e sostenere gli insegnanti in questo difficile compito, soprattutto alla luce di avvenimenti tragici come quelli di dieci giorni fa, il ministro dell’Istruzione, Najat Vallaud-Belkacem, ha inviato a tutti i docenti una lettera in cui li invitava a «rispondere positivamente alle esigenze o richieste che possono aver luogo in aula». Il ministro ha ricordato che la scuola educa «alla libertà di coscienza, di espressione, al senso della vita, all’apertura verso gli altri e alla tolleranza reciproca».

RIBELLIONE ADOLESCENZIALE E CONVIZIONI RELIGIOSE

Per molti insegnanti francesi, bisogna anche operare una distinzione tra chi si esprime in certi termini per un senso di ribellione adolescenziale e chi, invece, ci crede davvero. Molti si sono espressi con un «sì, ma…» spiega un insegnante ai microfoni di France 24. «Solo una piccola minoranza degli alunni hanno rinnegato con ostinazione il diritto alla liberà di espressione». E continua: «La cosa fondamentale da fare, in questi casi, è cercare un dialogo, un confronto con loro, ascoltarli, essere tolleranti».

L’insegnante di un altro istituto ha raccontato, sempre all’emittente francese, che nella sua classe molti studenti si sono schierati per l’intoccabilità della religione, ma senza distinzioni. «Ciò non toglie – spiega il docente – che non si possa fargli capire che è l’atto terroristico che deve essere condannato». “Petit Prof” dal suo account Twitter scrive: «Se vogliamo trovare difetti all’educazione nazionale possiamo farlo ma questo non migliorerà di certo le cose. Noi, come docenti, lavoriamo sul campo, ogni giorno insegniamo il valore della tolleranza». «Nel nostro settore – continua – non vediamo subito i risultati. Siamo come giardinieri che seminano nella speranza che un giorno, riceveranno dei frutti».

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