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Tranquilli, non c’è alcun voto di fiducia in vista per riformare la legge che disciplina gli scioperi nei servizi pubblici. Anzi, non c’è proprio nessuno – tanto meno il governo – che abbia un progetto di legge per tutelare di più e meglio i cittadini che vogliono e devono spostarsi nelle città ma sono intrappolati per responsabilità di sindacati proni sui propri ombelichi.

Tranquilli, il problema della Nazione si chiama Italicum, mica le città paralizzate dalle perenni astensioni dal lavoro di dipendenti che scioperano chissà per quali ragioni, ma di sicuro meritevoli, e quasi sempre di venerdì, chissà poi perché…

Ma a Milano si è fatta eccezione: si sciopera il martedì e non il venerdì, questa settimana. D’altronde venerdì è il Primo Maggio, perbacco. Così a tre giorni dall’Expo i signori sindacalisti hanno deciso di mostrare quanta efficienza meneghina c’è nei loro comportamenti. Detto, fatto.

Siccome si scrive questa notarella da una capitale sempre più zozza, caotica e invivibile, leggiamo quello che è successo dal sito del milanesissimo Corriere della Sera che è di sicuro più informato: “Sono stati pesantissimi i disagi dovuti allo sciopero del trasporto pubblico indetto dalla Confederazione Unitaria di Base Trasporti (Cub Trasporti) dalle 8.45 alle 15 di martedì. Sospesa la circolazione sulle linee M1, M2, M3 e M5 del metrò. Alta anche la partecipazione alla protesta da parte dei conducenti dei mezzi di superficie che si è attestata al 70%. In alcuni depositi Atm, come quello di viale Sarca, ha incrociato le braccia il 90% dei lavoratori”.

Tutto ovviamente lecito e legittimo. Tutto perfettamente in regola con norme, leggi e accordi aziendali. Tutto giusto, secondo i sindacati che hanno proclamato lo sciopero: alla base dell’astensione c’è l’accordo firmato per Expo che, a detta di Cub Trasporti, prevede “l’inesigibilità delle ferie in qualsiasi periodo dell’anno viste le richieste di servizi aggiuntivi relativi al periodo di Expo, alti livelli di straordinari con ore di guida superiori a ogni ragionevole limite”, e altro ancora.

Come si diceva, norme e regole saranno di sicuro state rispettate: da modi e tempi di proclamazione, alla previsione delle fasce orarie in cui il servizio sarebbe stato garantito. Ma dopo quello che di recente è successo a Roma, è lecita anche una domanda: queste norme e queste leggi rispettano davvero i cittadini, gli imprenditori, i pensionati, gli studenti, i professionisti, i lavoratori o solo, e soprattutto, i dipendenti delle aziende del trasporto pubblico locale?

La domanda nasce anche dalla regolamentazione (“provvisoria”, come sottolinea la Commissione di garanzia sugli scioperi) degli scioperi nel settore che risale al 2000, frutto di una modifica legislativa. Ecco il passaggio clou: “Dovrà essere garantito il servizio completo, articolato su due fasce per un totale di sei ore, coincidenti con i periodi di massima richiesta dell’utenza o con le esigenze di particolari categorie di utenti, per le quali il servizio si pone come essenziale (lavoratori e studenti, aree rurali e montane, aree a vocazione turistica, caserme, aree industriali, ospedali, cimiteri)”.

Ecco, queste sei ore sono sufficienti? Le fasce orarie non sono un po’ vetuste in un’economia non solo di fabbriche e uffici pubblici? E gli scioperi non possono essere sostituiti da altre forme di protesta meno invasive e dirompenti?

O si deve solo parlare di Italicum?

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