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La strage di Parigi nella redazione di Charlie Hebdo, definito da alcuni osservatori come l’11 Settembre europeo, ripropone il tema del terrorismo islamico.

Quali le peculiarità dell’attentato? Quali le contromisure adottate? E quali i rischi per l’Italia?

Tutti argomenti toccati in una conversazione con Formiche.net da Andrea Manciulli (Pd), vice presidente della commissione Esteri della Camera, presidente della delegazione italiana presso l’Assemblea parlamentare della Nato e direttore del rapporto sul ruolo dei Paesi del Golfo nella crisi del Mediterraneo e nella lotta al terrorismo internazionale.

Onorevole, l’Occidente s’interroga sulla strage al Charlie Hebdo. Quale lezione trarre?

Innanzitutto, come spesso accade nella politica italiana, ma non solo, bisogna evitare analisi affrettate o, peggio, superficiali. È evidente che, per come si è svolta, la vicenda ha fatto esplodere un moto di coscienza collettivo. Spero che questo non si esaurisca quando i riflettori saranno spenti. È importante comprendere che abbiamo di fronte una sfida che durerà nel tempo e che necessita di coesione nazionale, per ciò che concerne il nostro Paese, e di uno scatto in avanti dell’Europa. Questi fenomeni, per essere combattuti, vanno innanzitutto conosciuti. Per questo è fuori luogo portare la discussione su un ipotetico scontro di civiltà, che non esiste.

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I critici dell’integrazione sostengono che “non tutti gli islamici sono terroristi”, ma che in fondo “tutti i terroristi sono islamici”. Come valuta questa posizione, presente anche in Italia?

L’Islam non è tutto uguale. La stragrande maggioranza dei fedeli musulmani è assolutamente pacifica. E trasmettere l’idea che tutti gli islamici siano in qualche modo attratti dal terrorismo è esattamente quello che vogliono i fondamentalisti. Costoro hanno ingaggiato una guerra per la supremazia nel mondo musulmano e considerano l’Islam pacifico un nemico. Se anche noi pensiamo questo, non facciamo altro che avvantaggiarli, facendo il loro gioco.

Diversi osservatori evidenziano però che, a fronte di condanne pubbliche, i Paesi del Golfo continuino a finanziare alcuni movimenti terroristici. Non solo. A volte sono le stesse comunità islamiche dei Paesi colpiti a non reagire con fermezza dopo questi episodi. 

Io credo che questa analisi vada aggiornata. Forse nel passato queste ambiguità erano forti, ma oggi possiamo dire che i Paesi del Golfo siano attenti e preoccupati per il rafforzamento del radicalismo. Hanno paura che ci sia un effetto contagio nell’opinione pubblica, che metterebbe a repentaglio l’assetto dei loro stessi Stati. Mentre per ciò che riguarda le comunità islamiche, credo che la nettezza nel condannare episodi come quello di Parigi non sia mai troppa, ma che in questo caso non sia mancata.

Che nesso c’è tra questo tipo di terrorismo e l’immigrazione irregolare?

Chi trova un collegamento tra questi due fenomeni, come alcune forze politiche, dimostra di non conoscere il fenomeno. I terroristi che tornano per colpire l’Occidente rappresentano un investimento per chi li ha “formati” e non verrebbero mai esposti al rischio di un viaggio su un barcone. Semmai, il vero rapporto tra immigrazione e radicalismo è che, spesso, chi gestisce il traffico di esseri umani finanzia poi con quei soldi alcune organizzazioni terroristiche.
La crescita del fondamentalismo non dipende dall’immigrazione, ma dalla voglia di rivalsa sociale che attecchisce in soggetti vulnerabili. Un dato importante da sottolineare è, infatti, che il fenomeno non riguarda nonni e padri, spesso assolutamente integrati, ma i loro figli, nati e cresciuti in Occidente, oltre ad una piccola percentuale, purtroppo crescente, di convertiti all’Islam.
Per questo rivolgo un appello: la Francia, ieri, ha dato prova di grande tenuta democratica. Spero che, qualora una simile tragedia dovesse accadere nel nostro Paese, noi saremo in grado di mettere da parte analisi populistiche, per attenerci invece ai fatti.

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Quali sono le peculiarità di questo attacco?

Per ora ci sono pochi elementi certi. È stato un attacco a volto coperto, realizzato da persone che non volevano compiere un martirio, ma salvaguardare la loro identità. Sono cittadini francesi, così si evince dal loro linguaggio. Sono dotati di alcune capità di combattimento, se si guarda alle modalità con cui si è svolto l’attacco. Siamo di fronte a una minaccia seria, che va analizzata con attenzione.

Cioè?

Innanzitutto è evidente che dopo il conclamarsi e la crescita del fenomeno Isis, è nato implicitamente un problema di concorrenza dell’orrore. Al Qaeda, perdendo terreno e diventando meno attrattiva, è ora spinta a compiere atti più efferati per non perdere questa macabra leadership.
Poi c’è un problema della collocazione effettiva della minaccia. Non bisogna confondere il tema dei foreign fighters – gli occidentali che si uniscono ai jihadisti nei teatri di guerra – con quello dei lupi solitari – cani sciolti che decidono di compiere un attacco più o meno organizzato. Il primo è un fenomeno ormai molto controllato. Il secondo è, per sua natura, difficilissismo da contrastare. Per questo ribadisco che non ha senso generalizzare: ogni situazione è diversa e come tale va affrontata.

Anche l’Italia è in pericolo? E qual è il livello d’allerta?

Nel mirino ci sono tutti e il nostro livello d’allerta non è differente da quello di altri Paesi occidentali. Non bisogna mai abbassare la guardia, ma posso dire di essere soddisfatto del lavoro svolto sinora dai nostri Servizi e dalle Forze dell’Ordine.

Come si sta evolvendo la minaccia terrorista?

Tutti gli esperti rimarcano come le strategie per colpire, anche da parte dei lupi solitari, siano cambiate. Vista l’allerta sempre più alta, le aggressioni esplosive sono divenute più difficili. Per questo ora gli attentatori si concentrano maggiormente su attacchi condotti con armi da taglio o da fuoco, imprevedibili e quindi più semplici da realizzare.

Come deve reagire l’Occidente per contrastarla?

Bisogna in primo luogo rilanciare la cultura della sicurezza, anche attraverso strumenti legislativi adeguati, che aiutino le Forze dell’Ordine ad operare in modo più incisivo. E poi, sul piano comunitario, è tempo invece di unificare le diverse legislazioni europee. È anche in queste pieghe che, spesso, il terrorismo trova spazi di manovra.

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