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È stato presentato e reso pubblico qualche giorno fa il rapporto annuale “Global Risks 2015” del World Economic Forum (WEF). Il dossier è stato realizzato anche quest’anno dal Center for Global Strategies del WEF sulla base di un’indagine, il Global Risks Perception Survey, realizzata con un sondaggio su oltre 900 membri – tra industriali, economisti, leader politici, burocrati, ricercatori ed accademici – del World Economic Forum. E i risultati di questa decima edizione sono davvero sorprendenti.

L’EVOLUZIONE DELL’ANALISI OPERATA DAL WEF

Nel rapporto di quest’anno, infatti, il World Economic Forum ha introdotto un’analisi delle tendenze – dove per “tendenza” si intende un processo di lungo termine, e attualmente in corso, che potrebbe contribuire ad amplificare rischi globali e/o ad alterare le relazioni tra di loro – e, rispetto agli anni precedenti, si è maggiormente concentrato sulle aree geopolitiche. Non solo. Sono stati identificati i rischi globali raggruppati in cinque categorie: rischi economici, rischi ambientali, rischi geopolitici, rischi sociali e rischi tecnologici rilevati in un arco temporale che va da luglio a settembre. Ma, a differenza di quanto fatto finora, si è operata una più approfondita analisi delle loro interconnessioni e delle ricadute.

IL CONFLITTO INTERNAZIONALE COME PRIMA MANACCIA MONDIALE

Il dato più interessante che emerge dall’indagine di quest’anno, pubblicata in concomitanza con lo svolgimento del Forum di Davos, è che la minaccia numero uno per la stabilità mondiale, sia in termini di probabilità che di impatto, sarebbe il conflitto internazionale. A distanza di decenni, insomma, sarebbe riaffiorata la competizione strategica in ambito economico, su scala globale, ma che non esclude il ricorso alle armi, in ambito regionale, soprattutto in Asia ed Africa. Il pericolo maggiore è che la progressiva regionalizzazione economica assieme alla competizione strategica erodano progressivamente le basi dell’architettura di governance globale, invertendo così, il processo di integrazione economica globale. Tale conflitto è visto come più probabile rispetto ad eventi meteorologici estremi, al fallimento dei sistemi di governo nazionali, al crollo di uno stato, allo scatenarsi di una crisi o a un’alta disoccupazione strutturale.

Formiche-Global Risks Report-2015 formiche-WEF risk 2015

IL PARERE DELL’ECONOMISTA MARGARETA DRZENIEK-HANOUZ 

«Venticinque anni dopo la caduta del muro di Berlino – ha dichiarato una delle economiste principali del Forum, Margareta Drzeniek-Hanouz – il mondo affronta di nuovo il rischio di gravi conflitti tra Stati». «Ma a differenza del passato, oggi i mezzi per intraprendere tale conflitto, sia tramite attacco cibernetico, che a causa della competizione per accaparrarsi le risorse o per le sanzioni e altri fattori economici, è più ampia che mai» spiega. «Affrontare tutti questi possibili fattori scatenanti – continua l’economista – e cercare di riportare il mondo ad un percorso di collaborazione, piuttosto che spingere verso la concorrenza, dovrebbe essere una delle priorità dei leader globali, nel 2015».

LA PERICOLOSITÀ DEI “NON-STATE ACTORS”

E non sono soltanto gli effetti che il crollo dei prezzi del petrolio avrà sui paesi come Venezuela, Nigeria o Russia, che su questo tipo di industria fondano la loro intera economia, il conflitto latente tra l’Ucraina e la Russia, o quello più sanguinoso in Siria, a preoccupare gli analisti. Vanno a innalzare l’asticella del rischio, anche, l’aumento di gruppi violenti e di matrice estremista come Boko Haram e lo Stato Islamico, definiti nel rapporto “non state-actors”, che stanno creando un clima di forte insicurezza a livello globale. Insicurezza che si acuisce e si aggrava in presenza di eventi come il recente attacco al settimanale satirico francese Charlie Hebdo.

IL PRIMATO DELLO STATO ISLAMICO

Il gruppo conosciuto come ISIS, ISIL o lo Stato islamico ha acquisito notorietà globale attraverso il suo gusto per le esecuzioni video-registrate e atrocità su larga scala, dall’arbitraria prigionia alla schiavitù sessuale, che ledono profondamente i diritti umani. La sua sete di violenza, sangue e miseria lo contraddistingue da altre forze “non statali” del nostro tempo, ma solo per una questione di carattere quantitativo. Altri gruppi – molti dei quali fanno parte della rete globale di Al Qaeda –  come Al Nusra in Siria, Al Qaeda nel Maghreb islamico e il gruppo nigeriano conosciuto in Occidente come Boko Haram fanno la stessa cosa, solo con frequenza minore.

LA PERICOLOSITÀ DI UNO “STATO-NONSTATO”

Secondo quello che si legge nel report, ciò in cui l’ISIS si differenzia davvero dalle altre organizzazioni è il fatto che rivendichi una statualità e che abbia stabilito alcuni criteri di gestione dello stato stesso. L’ISIS non ha solo proclamato il nuovo Califfato, il governo dei cosiddetti successori del Profeta, ma di fatto amministra l’area nord dell’Iraq e della Siria orientale. Ne gestisce l’ordine pubblico, alcuni servizi sociali, e ha suo un servizio di intelligence e di informatori formato da ex funzionari del regime baathista di Saddam Hussein. Oltre a disporre di una enorme quantità di denaro proveniente dalla regione del Golfo, si è impossessato della banca centrale di Mosul, il che li rende la forza “non statale” più ricca del mondo, tanto da essere a tutti gli effetti «uno stato non-stato».

I PRECEDENTI STORICI E IL PREDOMINIO DEGLI STATI-NON STATALI

Questo fenomeno per gli analisti ha dei precedenti: basti pensare al Governo rivoluzionario provvisorio in Vietnam del Sud tra la fine del 1960 e l’inizio 1970, che a differenza dell’ISIS però non si auto-glorificava con dimostrazioni di atrocità e terrore. Altro esempio, i talebani hanno ad oggi il controllo effettivo su parti dell’Afghanistan ed erano effettivamente uno stato alla fine del 1990, fino a quando sono stati rovesciati dall’offensiva guidata dagli Stati Uniti, nell’ottobre del 2001. Ancora, per lungo tempo il FARC ha controllato vaste aree della Colombia, mentre la milizia Seleka guida le aree settentrionali della Repubblica Centrafricana e, nonostante le forti pressioni internazionali, continua a comportarsi come uno stato nascente. Alcuni gruppi non si sono espansi fuori dal loro territorio, ma hanno intrapreso una guerra che non è territorialmente limitata. Nella concezione di Al Qaeda, hanno combattuto contro ciò che essi percepiscono come un “nemico globale”.

Oggi, secondo il Global Risk 2015, la tendenza va nella direzione esattamente opposta: stiamo rientrando nell’era di Stati-non statali.

Global Risks 2015, ecco chi minaccia davvero la sicurezza mondiale

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