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Poi dicono che Massimo D’Alema non conta più nulla. Nella sua ultima intervista al Corriere della Sera ha teorizzato un nuovo intervento dello Stato nell’economia e subito dopo Matteo Renzi si è messo in testa di nazionalizzare l’Ilva, per risanarla e rivenderla. Ma non era questa la mission per cui negli anni ’30 del secolo scorso venne istituita l’IRI? Ecco il nuovo che avanza.

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Nella retata del ‘’mondo di mezzo’’ (tra politica e malavita) romano colpiscono due aspetti: il suo carattere bipartisan e il fatto che i media abbiano la mano leggera e riluttante quando si tratta di evidenziare i rapporti con esponenti di sinistra o con personaggi legati a quel mondo.

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Il Jobs act Poletti 2.0 è arrivato in porto. La svolta vera sul piano giuridico – se ci sarà – la vedremo nei decreti delegati, a cominciare – in un ampio quadro di riordino del diritto del lavoro – da quello che regolerà il contratto di nuova istituzione con annesse le tutele in materia di licenziamento. Può essere, allora, che la montagna partorisca di nuovo il topolino, per quanto riguarda l’innovazione normativa e – ancor più – l’interpretazione giurisprudenziale. Ma la vita di una comunità, i suoi valori, l’assetto delle sue relazioni socio-economiche non si misurano soltanto riferendosi a quanto prevede l’ordinamento giuridico. Ecco perché, il dibattito che, in questi mesi, ha accompagnato l’iter legislativo del Jobs act Poletti 2.0 ha già realizzato un cambiamento profondo (ancorchè tardivo). Al di là delle formulazioni troppo generiche ed ambigue delle deleghe, al di là dei risultati che esse produrranno nella decretazione delegata, il Paese si è misurato con uno dei ‘’mostri sacri’’ del diritto del lavoro: il concetto di job property, in nome del quale la difesa del lavoro coincide con la salvaguardia del posto. Anche quando l’economia lo ha soppresso. Ed è un bene, pertanto, che i nemici del cambiamento siano scesi in campo al massimo del loro potenziale di iniziativa e di lotta, perché, nelle battaglie che segnano una trasformazione culturale profonda di un Paese (o che ne ratificano una già intervenuta nei fatti) chi vince, vince, chi perde, perde. Loro perderanno. Vincerà l’Italia.

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Molto bella e significativa l’intervista del Cardinale Angelo Scola ad Aldo Cazzullo sul Corriere della Sera. L’autorevole prelato non nasconde che all’interno della Chiesa è aperto un confronto ‘’talora serrato, sempre teso alla comunione’’ su quelli che lui chiama ‘’principi irrinunciabili’’ anziché ‘’valori non negoziabili’’, nel contesto di una realtà in cui ‘’ogni inclinazione soggettiva pretende di essere addirittura un diritto fondamentale’’. Scola condivide con Ruini l’idea ‘’che l’opinione pubblica non coincide affatto con l’opinione mediatica’’. Ed ha ragione. Per questi motivi occorre resistere alle mode, perché ‘’la strada giusta è la strada del pagare di persona’’.

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Le Francescheidi

‘’Chi sono io per non ascoltare le parole del mio fratello Angelo Scola e fare di testa mia?’’

Jobs Act, ecco qual è la vera vittoria per l'Italia

Poi dicono che Massimo D’Alema non conta più nulla. Nella sua ultima intervista al Corriere della Sera ha teorizzato un nuovo intervento dello Stato nell’economia e subito dopo Matteo Renzi si è messo in testa di nazionalizzare l’Ilva, per risanarla e rivenderla. Ma non era questa la mission per cui negli anni ’30 del secolo scorso venne istituita l’IRI? Ecco…

Capitale corrotta o infetta?

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