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Incoraggiati, a torto o a ragione, dal recente e lungo incontro di Matteo Renzi con Romano Prodi, quanti nel Pd perseguono da tempo l’elezione dello stesso Prodi al Quirinale si sono rimessi a evocare il cosiddetto “metodo De Mita”. Che consentì nel 1985 all’allora segretario della Dc, Ciriaco De Mita appunto, di mandare sul colle Francesco Cossiga, addirittura alla prima votazione.

Questa volta tuttavia, consapevoli della irraggiungibilità della maggioranza dei due terzi costituzionalmente richiesta nelle prime tre votazioni, gli amici e sostenitori di Prodi si accontenterebbero, bontà loro, di riuscire al quarto o quinto scrutinio, con la maggioranza assoluta dei voti, cioè il 50 per cento più uno dei parlamentari e delegati regionali chiamati a votare.

Depurato dell’effetto blitz, conseguito al primo colpo con Cossiga nel 1985 ma anche con Carlo Azeglio Ciampi nel 1999, quando a tessere la tela fu il segretario dell’ex Pci Walter Veltroni, il “metodo De Mita” varrebbe come modello solo per garantire con i voti del maggiore partito di opposizione l’elezione di un presidente della Repubblica proveniente o proposto dal maggiore partito di governo. Allora De Mita si assicurò i voti dei comunisti. Ora Renzi dovrebbe procurare a Prodi i voti dei grillini, piuttosto che quelli dei parlamentari berlusconiani, notoriamente meno desiderati a sinistra ma altrettanto notoriamente indisponibili per il professore emiliano.

Proprio dopo l’incontro con Prodi, curiosamente Renzi ha voluto esprimere il “bisogno” dei voti dei grillini parlando nell’aula di Montecitorio, pur nel contesto di un tema diverso dall’elezione del nuovo presidente della Repubblica, e di un ennesimo scontro con i pentastellati in agitazione contro di lui.

Di comune, nel caso di Prodi – ma anche di un altro candidato più gradito o comodo al segretario del Pd, magari tirato fuori all’ultimo momento – i metodi De Mita e Renzi avrebbero un voluto ricorso all’opposizione numericamente più consistente ma politicamente più in affanno. Tra defezioni, espulsioni e cali di voti, i grillini sono oggi in condizioni di sbandamento e isolamento persino superiori a quelle in cui si trovavano nel 1985 i comunisti, reduci da una cocente sconfitta nello scontro referendario con il governo di Bettino Craxi sui tagli antinflazionistici apportati l’anno prima alla scala mobile dei salari.

Piuttosto che su Arnaldo Forlani, allora presidente della Dc oltre che vice presidente del Consiglio, per la cui elezione al Quirinale Craxi aveva già cominciato a prodigarsi corteggiando anche i voti dei missini, De Mita preferì puntare su Cossiga. Che peraltro il segretario della Dc, costretto dopo le elezioni politiche del 1983 a ingoiare il rospo del leader socialista a Palazzo Chigi, aveva cautelativamente parcheggiato alla presidenza del Senato: postazione considerata privilegiata per un successivo salto al colle più alto di Roma.

Pur di evitare un’altra vittoria di Craxi, con Forlani al Quirinale, e di uscire dall’isolamento in cui si erano cacciati con il referendum sui tagli alla scala mobile – un referendum tanto poco sentito e condiviso da De Mita che nella sua Nusco i no ai tagli erano prevalsi sui sì – i comunisti guidati da Alessandro Natta condivisero festosamente la candidatura di Cossiga. Eppure non più tardi di cinque anni prima, essi avevano condotto contro di lui, allora presidente del Consiglio, una pesante offensiva parlamentare, volendolo mandare a processo davanti alla Corte Costituzionale con l’accusa di avere favorito la latitanza del terrorista rosso Marco Donat-Cattin, figlio di Carlo, allora vice segretario della Dc.

Tutto quindi fu cinicamente rimosso, per quanto in quel drammatico passaggio parlamentare contro Cossiga l’allora segretario del Pci Enrico Berlinguer avesse reagito, a chi gli ricordava di essergli cugino, dicendo che dalle loro parti, in Sardegna, con i parenti c’era solo la consuetudine di “mangiare insieme l’agnello alle feste”. Una consuetudine tuttavia che i Berlinguer non avevano avvertito con un Cossiga ancora ragazzo, come lo stesso Cossiga confidò a Craxi sei anni dopo la propria elezione al Quirinale, quando i suoi rapporti con i comunisti tornarono ad essere cattivi per via delle preveggenti “picconate” ch’egli dal Quirinale aveva cominciato a sferrare contro i vecchi modi di fare politica e le resistenze alle necessarie riforme istituzionali.

Già debole di suo, quanto ad attualità, per i tanti cambiamenti intervenuti dopo quel lontano 1985, il “metodo De Mita” per la scalata al Quirinale ha infine subìto di recente una clamorosa dissacrazione da Clemente Mastella. Il quale ha raccontato che, come stretto collaboratore dell’allora segretario della Dc, falsò il comunicato sull’esito della votazione preventiva svoltasi a scrutinio segreto nei gruppi parlamentari democristiani sulla designazione di Cossiga, passata con il 60 per cento dei consensi, e non con l’85 per cento annunciato ufficialmente per rafforzare il candidato agli occhi del Pci.

Quirinale, il falso mito del metodo De Mita

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