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Come in tutti i Vertici internazionali che si rispettino, anche a Brisbane sembra più importante ciò che si dice negli incontri di corridoio e nei “bilaterali” piuttosto che nelle sedute plenarie. Tanto che, ai fini decisionali (ma i G-20 non prevedono di giungere a decisioni operative) il comunicato rappresenta solo il “politicamente corretto”: ciò che gli sherpa riescono a scrivere su tutto senza scontentare nessuno.

Questa volta, però, l’atmosfera è stata così tesa che sarà bene leggere il comunicato finale con estrema attenzione, avendo bene in mente che il tutto è falsato dall’effetto alone del rapporto Russia-Occidente, vera chiave di lettura di una rappresentazione che per altri versi è scontata. Ma il palcoscenico resta importante, e nessuno si sottrae a dimostrazioni di risolutezza verbale e determinazione. Così possiamo osservare un agguerrito Barack Obama che coglie l’occasione per cercare di riscattarsi agli occhi del mondo con atteggiamenti tardivi, ma così duri da far invidia ai repubblicani più accaniti.

Frasi forti come “l’aggressione della Russia in Ucraina è una minaccia per il mondo”, oppure “gli Stati Uniti sono e restano l’unica grande potenza mondiale in grado di guidare l’opposizione della comunità internazionale alla politica espansionistica russa” non si erano mai sentite se non in casa, durante la campagna elettorale. Sembrano passati decenni da quando, all’inizio del mandato, Obama si era dichiaratamente riproposto di riguadagnare al popolo americano la simpatia mondiale “rendendo l’America un Paese come tutti gli altri”. Ma ora è fuori tempo massimo, visto che almeno questo – con plauso europeo, ma discredito globale per l’intero Occidente – gli è perfettamente riuscito.

Parole forti nei confronti dell’atteggiamento della Russia di Vladimir Putin anche da parte dell’inglese Cameron, che invita la Ue a cambiare strada, della stessa Angela Merkel che, inopinatamente, si dichiara favorevole ad una revisione peggiorativa della sanzioni, al primo ministro australiano Tony Abbott, il padrone di casa, che aveva dichiarato di voler “prendere di petto” Putin. Non è stato accertato che poi l’abbia fatto davvero, ma i 38 morti australiani nella tragedia del volo Malaysia MH 17 pesano davvero. Poco caloroso anche l’incontro con il francese Hollande, dal quale forse lo Zar si aspettava un aiuto e del canadese Stephen Harper. Tuttavia, le agenzie nulla ci riferiscono sull’atteggiamento dei responsabili del “resto del mondo, che nel G-20 sono la maggioranza.

Putin, dal canto suo, dopo essersi presentato a Brisbane preceduto da navi militari presumibilmente adibite all’ascolto elettronico, ha percepito l’atmosfera non favorevole nei suoi confronti e sembra abbia manifestato l’intenzione – la smentita dei portavoce fa parte del gioco – di tornarsene a casa con un giorno di anticipo, senza attendere la conclusione. Forse si è trattenuto dal farlo dopo aver notato che i rappresentanti della Ue, Herman Van Rompuy e Jean Claude Junker, sull’argomento delle sanzioni sono stati assai più cauti e possibilisti di quelli degli Stati. In fondo, sia Russia sia Ue sono consapevoli che, appesi entrambi per i piedi alla precarietà della situazione economica, se continuano a beccarsi tra loro rischiano la fine dei “polli di Renzo” di manzoniana memoria.

E l’Italia, che dice? Sia a Obama sia a Putin, per bocca del nuovo ministro degli esteri Gentiloni, dice esattamente quello che ciascuno di loro vuole sentirsi dire. Non prende parte e non si schiera, ma si atteggia come se lo stesse facendo. “Cerchiobottisti”, come al solito.

Mario Arpino è giornalista pubblicista, collabora con diversi quotidiani e riviste su temi relativi a politica militare, relazioni internazionali e Medioriente. È membro del Comitato direttivo dello IAI.

G-20, il cerchiobottismo dell'Italia su Putin

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