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Oggi il compito principale dell’intelligence dovrebbe essere quello di formare minoranze creative, tenendo conto che la dimensione dell’intelligence è profondamente legata alla cultura, che determina la comprensione del mondo.

Per descrivere l’intelligence, occorre partire dalle parole, richiamando la radice latina del termine: “intelligere”, che evoca la capacità di comprendere unendo i punti della conoscenza. Da qui, discende anche la radice italiana: “intelligenza”, che fa riferimento alle doti umane per eccellenza della logica, della razionalità, del pensiero.  Non a caso, per Bill Gates “il modo migliore per prevalere sugli altri è quello di eccellere sul terreno dell’informazione e quindi sul modo con cui si raccolgono, analizzano e utilizzano le informazioni”.

Nella società attuale, immersa nella disinformazione, la funzione dell’intelligence diventa fondamentale per superare il corto circuito cognitivo provocato dall’eccesso informativo e dalla carenza di istruzione dei cittadini. Infatti, l’intelligence ha subito una trasformazione profonda, essendo da qualche tempo percepita non solo come strumento di anticipazione del futuro ma anche di interpretazione del presente.

L’intelligence non è tanto un mezzo di difesa contro distorsioni informative, ma una risorsa fondamentale per persone, aziende e Stati per tutelare i rispettivi interessi, assumendo le giuste informazioni per prendere decisioni consapevoli.

Nel contesto attuale, l’intelligence emerge come elemento cruciale per mantenere l’uomo al centro dell’universo, soprattutto nel confronto tra l’intelligenza umana e quella artificiale. Oggi, il campo di battaglia definitivo è rappresentato dalla mente delle persone, che viene aggredita in modo capillare soprattutto attraverso il cyberspazio. Questa affermazione pone in risalto la crescente importanza dell’intelligence, poiché andrebbe riconosciuta come disciplina scientifica nelle università e insegnata nelle scuole come materia di base, al pari della lettura, della scrittura e della matematica.

Questa visione, non solo suggerisce il riconoscimento dell’intelligence come pilastro educativo, ma evidenzia anche la sua importanza nel preparare le nuove generazioni a vivere in un ambiente sociale determinato dall’intelligenza artificiale. Infatti, l’educazione è strettamente legata all’intelligence, tanto che Robert David Steele, analista della CIA, ricordava che “la migliore arma di una nazione è avere una cittadinanza istruita”. Non a caso, nel 1983, il rapporto statunitense “A Nation at Risk” in piena Guerra fredda evidenziava il rapporto diretto tra educazione e sicurezza nazionale.

Di un certo interesse, sarebbe ripercorrere le trasformazioni del sistema di intelligence dall’Unità in poi, dalle quali si riscontra anche l’evoluzione del concetto di sicurezza nazionale nelle vicende storiche del nostro Paese. A partire dall’Istruzione La Marmora del 1855 che organizza la raccolta delle informazioni nell’esercito sabaudo e che ebbe effetti fino alla fine della Prima guerra mondiale, in un contesto in cui le informazioni militari venivano considerate “servizio segreto”. Nel 1925, durante il periodo fascista, fu istituito il SIM (Servizio Informazioni Militare), primo servizio di intelligence unitario, momento significativo nella strutturazione dell’intelligence italiana. Nel secondo dopoguerra, furono istituiti il SIFAR (Servizio Informazioni Forze Armate) e poi il SID (Servizio Informazioni Difesa), che operarono nel pieno della Guerra fredda.

Del 1977 è la prima legge che si occupa di intelligence, in un clima condizionato sempre dai due blocchi ideologici a livello internazionale, dal terrorismo politico e dalla stagione del compromesso storico tra DC e PCI. Le norme prevedevano l’istituzione del SISMI (Servizio Informazioni e Sicurezza Militare), che in maniera molto generale avrebbe dovuto prendere il posto del servizio militare alle dipendenze del Ministro della Difesa, e il SISDE (Servizio per le informazioni e la sicurezza democratica), che in una certa misura era chiamato a svolgere le funzioni dell’Ufficio affari riservati, alle dipendenze del ministro dell’Interno. La legge assegnava il coordinamento dei due organismi al presidente del Consiglio dei ministri, che per funzioni amministrative si avvaleva del CESIS (Comitato esecutivo per i servizi di informazione e sicurezza).

Nel 2007 avviene la riforma dell’intelligence italiana, in cui il responsabile politico unico è il presidente del Consiglio, che si avvale del ruolo marcato del DIS (Dipartimento delle informazioni per la sicurezza) per il coordinamento delle agenzie interna (AISI, Agenzia informazioni e sicurezza interna) ed esterna (AISE, Agenzia informazioni e sicurezza esterna). Il controspionaggio sul territorio nazionale stavolta viene assegnato all’AISI mentre la controproliferazione rimane in capo all’AISE, che in questo modo continua a essere operativa nel perimetro nazionale.

Vengono previste le garanzie funzionali per gli operatori, definiti i tempi per il segreto di Stato, istituita la scuola di formazione del DIS, prevista un’azione di diffusione della cultura della sicurezza nella società italiana.

Per meglio definire l’inquadramento storico dell’intelligence italiana, va precisato che un uomo di Stato non può non essere un uomo di intelligence. A riguardo, vanno ricordate le esperienze di Francesco Cossiga, al quale si deve un contributo decisivo alla definizione della cultura dell’intelligence nel nostro Paese; di Aldo Moro, che fu il maestro di Cossiga sull’Intelligence; di Giulio Andreotti, che ha avuto un ruolo significativo nella storia della Repubblica; e di Enrico Mattei, che con la sua coraggiosa e innovativa politica energetica ha contribuito a risollevare  il nostro Paese da una rovinosa guerra perduta trasformandolo in  uno dei maggiori Paesi industriali del mondo. A questi va aggiunto Alcide De Gasperi, che ha operato negli anni decisivi in cui è stata ricostruita l’Italia.

Tutte figure approfondite nel percorso scientifico dell’Università della Calabria, con lo svolgimento di convegni e la successiva pubblicazione di volumi.

Infine ritengo sia importante evidenziare tre ambiti che, insieme agli altri compiti più tradizionali, l’intelligence sarà chiamata ad approfondire: il disagio sociale che potrà essere sempre crescente, rischiando di investire finanche la stabilità delle istituzioni democratiche; il confronto inevitabile tra intelligenza umana e intelligenza artificiale, che potrebbe modificare gli assetti dell’ordine mondiale; la disinformazione, che può condizionare non solo la visione della realtà da parte dei cittadini ma anche influenzare le scelte dei decisori politici.

Per quest’ultimo aspetto assume una rilevanza determinante la guerra normativa, una battaglia in corso da tempo ma ancora in gran parte sconosciuta. Infatti, dalle regole che si individuano sul piano interno e internazionale si determina già in partenza chi vince e chi perde, chi si arricchisce e chi si impoverisce, chi determina i prezzi e chi li paga.

Pertanto, in questa fase di profonda metamorfosi del mondo, occorre individuare degli arcipelaghi di certezza nell’oceano di incertezze in cui siamo immersi, ribadendo che gli studiosi di intelligence possono rappresentare quelle “minoranze creative” che, secondo lo storico britannico Arnold Joseph Toynbee, possono contribuire a rifondare le società. Ed è proprio questo, oggi, il crinale della storia.

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