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Dopo il cancello di ferro di Auschwitz, quello di Dachau: un furto che dimostra come l’antisemitismo goda di buona salute. Del resto, al pari della mamma degli imbecilli, quella dei negazionisti dell’Olocausto è sempre incinta (anche perché è in realtà la stessa). Ma, dopo lo sdegno che suscitano questi grassatori della verità storica, non bisogna perdere di vista il loro obiettivo politico: mettere in discussione il diritto di esistere dello Stato d’Israele. Due anni fa è stato pubblicato un libro di Bernard Wasserstein che meriterebbe di essere tradotto in Italia: “On The Eve: The Jews of Europe before the Second World War” (Alla Vigilia: gli Ebrei d’Europa prima della Seconda Guerra Mondiale).

Non è vero – spiega l’eminente studioso inglese – che gli ebrei del Vecchio continente aspettavano passivamente lo scatenarsi della Shoah. Al contrario, cercavano di affrontare la minaccia in tutti i modi possibili: alcuni con l’assimilazione, altri con l’emigrazione, altri ancora con la conversione; alcuni si chiusero in un ghetto culturale, altri divennero comunisti, socialisti, liberali e perfino fascisti.

Tutti cercavano di essere protagonisti della propria storia, senza però essere mai abbastanza forti per diventare padroni del proprio destino. Lo sono diventati con la creazione dello Stato di Israele. Mi sembra quindi stravagante chiedere a un popolo di rinunciarvi (foss’anche parzialmente), come fanno tanti intellettuali europei “engagés”, in nome di una coesistenza pacifica da un altro popolo negata in via di principio.

Il volume di Wasserstein è stato recensito da Donald Sassoon (Il Sole 24 Ore, 17 marzo 2013), il quale ha riproposto una domanda antica: cosa vuol dire essere ebreo? È una questione di religione, di etnia, di lingua? Non conosco l’ebraico, non sono credente, non sono sionista, quindi – si interrogava Freud – cosa mi rimane di ebreo? “Moltissimo… probabilmente – replicava – l’essenza stessa dell’essere ebreo”. Anche se poi ammetteva di non riuscire ad esprimere chiaramente a parole questa misteriosa essenza.

Dal canto suo, quando Kafka si chiedeva cosa avesse in comune con gli altri ebrei, rispondeva identificandosi con gli ebrei perseguitati, con la lotta contro ogni forma di antisemitismo. Io, che (purtroppo) non sono Kafka e non sono nemmeno ebreo, oggi direi la stessa cosa.

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