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C’è un vecchio detto libico secondo cui tutto ciò che di importante succede nel Paese, passa per Bengasi. Nel 1937, per esempio, Benito Mussolini arrivò a Bengasi per consolidare il potere coloniale; nel 1951 il Re Idris I fece il discorso di indipendenza dalla capitale; e quando era un giovane ufficiale in lotta contro la monarchia, Muammar Gheddafi era a Bengasi. E ora?

Nel 2011, Khalifa Haftar, uno dei personaggi chiave di quanto accade in queste ore in Libia, decise di tornare a Bengasi. Il generale libico era in pensione in una villa nel nord della Virginia, negli Stati Uniti, ma il deteriorarsi della situazione nel suo Paese lo spinse a tornare.
In queste ore i media libici sostengono che il presidente del Parlamento libico di Tobruk, riconosciuto dalla comunità internazionale, abbia nominato Haftar comandante generale delle Forze armate libiche e ministro della Difesa.

IL RITORNO IN LIBIA

Dopo aver partecipato alla rivolta contro Gheddafi nel 2011, Haftar cercò di trovare un posto nel nuovo scenario politico in Libia. Non riuscendoci, decise di tornare in Virginia per godersi i nipoti. La scorsa estate, estremisti islamici si sono trasferiti a Bengasi e hanno ucciso circa 260 tra avvocati, giudici, attivisti, militari e poliziotti, tra cui molti dei suoi vecchi amici e colleghi. “Tutto questo mi ha sconvolto. Avevamo appena lasciato il governo di Gheddafi per avere questo?”, ha raccontato Haftar al giornalista Jon Lee Anderson del New Yorker.

CERCASI SALVATORE

Il generale ha confessato al reporter che dopo quella strage ha ricominciato a contattare le forze armate in Libia e le tribù del Paese. Tutti gli dicevano la stessa cosa: “Siamo alla ricerca di un salvatore, dove sei? In Libia molti settori mi hanno chiesto d’intervenire, sapevo che questa scelta mi avrebbe spinto verso la morte, ma ho accettato volentieri”.
Haftar è uno dei principali obiettivi degli estremisti islamici. A giugno è esplosa una jeep fuori dalla sua casa nella periferia di Bengasi in un attentato suicida durante il quale sono morte quattro delle sue guardie. Pochi mesi fa, qualcuno ha tentato di ucciderlo con un ordigno esplosivo nascosto in un telefono cellulare.

LA ROTTURA CON GHEDDAFI

Haftar ha 71 anni ed è in pensione dal 1987. Nel 1969 si è schierato con Gheddafi contro la monarchia libica ed è diventato uno dei suoi alti ufficiali. “Era mio figlio e io ero una specie di suo padre spirituale”, disse Gheddafi in un’intervista. Nel 1987, mentre la Libia combatteva in in Ciad, Haftar venne scelto come comandante. La base fu attaccata in una battaglia nota come la Guerra Toyota, a causa della marca dei Land cruiser guidati dalla truppe. Nello scontro furono uccise migliaia di soldati libici e detenuti 400 uomini di Haftar. Gheddafi rinnegò i prigionieri e Haftar, infuriato, si rivoltò contro il suo mentore, chiedendo ai sostenitori di unirsi in un colpo di Stato contro il regime.

L’ex generale si congiunse al Fronte Nazionale per la Salvezza della Libia (Nfsl) nel 1988 e dopo fondò il corpo militare del movimento. Secondo un’analisi del Middle East Institute, il Fronte ha operato in Ciad con la benedizione del presidente ciadiano Hissène Habré. Quando Habré è stato allontanato dal potere da Idriss Deby nel 1990, Haftar si è trasferito in Zaire, oggi Repubblica Democratica del Congo.

SOGNO AMERICANO

Haftar si mosse poi negli Stati Uniti con alcuni combattenti. Quella lunga permanenza in territorio americano ha dato origine a molte speculazioni sul sostegno della Cia al movimento militare di Haftar. Secondo Business Insider, Haftar viveva in Virginia, a pochi chilometri dal quartier generale dell’agenzia di Langley. Un rapporto del New York Times uscito a maggio 1991 sosteneva che i militanti del Nfsl “sono stati addestrati dai funzionari dell’intelligence americana per compiere sabotaggi e altre operazioni di guerriglia in una base nei pressi di N’Djamena, la capitale del Ciad. Il piano per utilizzare gli esuli si adatta perfettamente al desiderio dell’amministrazione Reagan di rovesciare il colonnello Gheddafi”.

IL COLPO DI STATO

A febbraio del 2014, l’ex generale ha postato un video a seguito del quale venne accusato di un colpo di Stato, ma mai arrestato.

Alcuni settori laici in Libia considerano Haftar come un possibile salvatore della patria. “L’unico uomo che può davvero mettere insieme i cocci di un Paese che senza una guida forte rischia di fare la fine della Somalia”. Sulla loro pagina Facebook, i Ragazzi della Resistenza hanno scritto che “non si sa come andrà a finire o se davvero il premier ad interim Abdullah Al Thani manderà i suoi uomini contro i miliziani dell’Esercito Nazionale Libico, ma se questo dovesse accadere, per la Libia laica significherebbe la fine di un sogno”.

GUERRA AL TERRORISMO

Per Haftar oggi il principale nemico è Ansar al-Sharia, l’organizzazione terroristica unitasi all’Isis che ha provocato la morte dell’ambasciatore americano Chris Stevens a Bengasi l’11 settembre del 2012. Al New Yorker, Haftar ha detto che “non ci sarà nessun dialogo con il terrorismo. L’unica cosa da dire è che il terrorismo ci batterà finché non avremo purificato il Paese”.

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