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Nelle vicende delle persone talvolta il destino non è ‘’cinico e baro’’, ma giudizioso ed equo. Tiziano Treu è tornato da Commissario straordinario all’Inps trent’anni dopo essere stato il principale protagonista, in qualità di ministro del Lavoro del Governo Dini, della riforma (legge n.335/1995) su cui poggia il nostro sistema pensionistico (che dovrebbe portare il suo nome e non quello del presidente del Consiglio allora in carica). E’ arrivato in questo incarico non solo per portare a termine un’impresa di quelle che fanno bella figura sulla carta, ma che poi si rivelano delle trappole (la costruzione di un superInps che, al pari di Saturno, ha ingurgitato tutti gli enti previdenziali sopravvissuti al ‘’generale Inverno’’ delle incorporazioni), ma anche e soprattutto per aiutare un manipolo di giovinastri senza arte né parte ad orientarsi nel campo minato delle pensioni, prima che combinino guai ancora più seri di quelli perpetrati nel settore della previdenza privata a capitalizzazione.

Per ora assistiamo soltanto alle solite tempeste in un bicchier d’acqua: ha suscitato infatti una serie di proteste oggettivamente esagerate il progetto di unificare in una scadenza intermedia (il 10 di ogni mese) il pagamento ora a scadenza differenti (il 1° del mese l’Inps, il 10 l’Enpals, il 16 L’Inpdap) dei trattamenti a carico degli enti incorporati. Che cosa succederà se mai il Governo dovesse accorgersi che, senza un intervento sulle pensioni – quelle pubbliche di oggi, non solo quelle private di domani – i 15 miliardi di riduzione della spesa pubblica continuano ed essere intessuti dell’esile sostanza di cui sono fatti i sogni? Al di là degli interventi di carattere solidaristico sugli assegni più elevati, i risparmi più importanti sono derivati, negli ultimi anni, dai provvedimenti adottati in materia di perequazione dei trattamenti pensionistici al costo della vita. Dal 2012 ad oggi su questo istituto si sono ripetuti dei tagli, prima di natura temporanea, poi di carattere strutturale.

Quali gli effetti economici? Nel 2012 (tav. 1) sono stati interessati dalle nuove misure ben 5.192.338 pensioni per un totale di perequazione non erogata di circa 3,8 miliardi (la quota più consistente, per poco meno di un miliardo, è gravata sui percettori di un trattamento superiore a 3mila euro lordi mensili). Nel 2013 (tav.2) la platea è rimasta la stessa, ma il taglio è salito a 4,4 miliardi (di cui 1,1 miliardo a carico dei predetti pensionati con più di 3mila euro). In sintesi ed arrotondando gli importi: nei due anni di blocco (2012 e 2013) la perequazione persa (per sempre) è ammontata a 8,2 miliardi (sic!) che, spalmati su 5,2 milioni di trattamenti (e di soggetti) interessati, ha determinato una riduzione media pro-capite di 1.584 euro.

Nel 2014 sarebbe dovuto tornare in vigore il sistema previgente di perequazione, ordinato come segue per fasce orizzontali di pensione: 100% per i trattamenti fino a tre volte il minimo; 90% per la quota di pensione compresa fra tre e cinque volte il minimo; 75% per la quota oltre cinque volte il minimo. La legge di stabilità (legge n.147/2013) per il triennio 2014-2016 ha previsto un nuovo sistema che passa da un regime di fasce orizzontali ad uno di fasce verticali, nel senso che le nuove aliquote si applicano su tutto l’importo della pensione e non sulle quote eccedenti i multipli del trattamento minimo. Il passaggio al sistema di perequazione per fasce verticali dovrebbe determinare, secondo le previsioni, una riduzione di spesa, nel periodo considerato, di circa 5 miliardi di euro. Si dirà, allora, che i pensionati hanno già dato; e tanto. Ed è vero. Ma vi sono alternative concrete ed ugualmente efficaci? Treu sa bene che non ne esistono.

Tav. 1- Effetti del blocco della perequazione sulle pensioni nel 2012
tav 1

Tav. 2- Effetti del blocco della perequazione sulle pensioni nel 2013

Tav 2

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