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Grazie all’autorizzazione del gruppo Class editori pubblichiamo il commento di Edoardo Narduzzi apparso su Mf/Milano Finanza, il quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi.

La dimensione e la originalità della grande trasformazione accaduta negli ultimi sei anni nell’eurozona è stata finalmente chiarita dai mercati finanziari. È bastato l’annuncio del premier greco,Antonis Samaras, di voler anticipare l’uscita del suo paese dal monitoraggio della Troika di soli due anni per scatenare una vera tempesta nella asset allocation dei bond, sovrani e non, europei.

Il rendimento del titolo decennale della Grecia è nuovamente schizzato sopra il 9%, un tasso raggiunto l’ultima volta nel 2012 ed oggettivamente insostenibile per qualsiasi paese che non abbia una inflazione robusta. Per una economia in deflazione, come quella di Atene, siamo al caso che va ben oltre la scuola di sopravvivenza.

Dunque i premi per il rischio dei titoli di stato della parte mediterranea dell’euro sono tornati a crescere e lo stesso Spread del Btp decennale ha rivisto quota 200 sul Bund tedesco. Il messaggio inviato dagli investitori ai naviganti, inclusi i politici ovviamente, è di quelli che segnano la storia europea. I mercati hanno fatto sapere che non si tornerà più alla situazione pre crisi greca, quando ogni stato membro della moneta unica godeva di una sostanziale autonomia di politica di bilancio e fiscale all’interno del quadro monetario integrato, perché gli investitori non sono più disposti a prestare alla Grecia (ma lo stesso ragionamento con premi per il rischio diversi da quello di Atene vale anche per gli altri Pigs Italia inclusa) ad un tasso ragionevole che non includa, in assenza della garanzia da supervisione della Troika ovvero di Berlino, una implicita polizza assicurativa contro il possibile nuovo default.

In pratica dalla crisi dell’eurozona esce una area monetaria che è, sì ancora unita e che non ha perso pezzi per strada, ma che è anche ormai divisa in due blocchi distinti agli occhi degli investitori: gli stati «affidabili» quindi del club a basso rischio e quelli «volatili» che, se non soggetti ad una garanzia esterna, non possono essere oggetto di investimento se non a condizioni da titoli spazzatura. Significa che, piaccia o meno, dalla lunga crisi dell’eurozona il primato della politica e la stessa sovranità nazionale sono uscite ridimensionate in quei paesi che sono stati, nel recente passato, oggetto di attenzione da parte di Lady spread.

È una sfumatura, ovviamente tutt’altro che marginale, della germanizzazione dell’euro realizzatasi negli ultimi anni: senza l’implicita garanzia della tripla A di Berlino e del suo attivo commerciale, incarnata dalla presenza di funzionari tedeschi nella Troika chiamata ad approvare le decisioni di politica economica, i mercati finanziari escono dai titoli greci e chiedono rendimenti insostenibili per gli altri emittenti mediterranei. La Grecia è ancora uno Stato nazione formalmente autonomo e indipendente, ma lo è sempre più sulla carta e sempre meno nella realtà. Senza il sostegno tedesco, non riuscirebbe più ad emetter titoli per pagare pensioni e stipendi pubblici. Non è ancora un Land ma poco ci manca.

E in questa situazione la partita a poker che alcuni emittenti della moneta unica a volte sembrano tentati di giocare (se salto io anche la Germania salta con me) offre spazi di manovra più immaginari che sostanziali: in caso di default, come insegnano anche gli ultimi accadimenti sulla Grecia, è sempre l’emittente che fallisce, quello che paga il prezzo più alto. Quindi le opzioni che restano in mano ai governi dei paesi ad elevato spread non sono moltissime:

1) proseguire nel commissariamento effettivo o implicito del loro operato;

2) accettare le proposte tedesche per una integrazione completa delle politiche di bilancio e, in buona parte, di quelle fiscali nell’eurozona.

In Europa non ci sarà alcun QE, quantitative easing, cioè offerta di ulteriore liquidità da parte della Bce e il rallentamento dell’economia tedesca non farà spostare di un centimetro la Cancelliera Merkel dalla politica finirà per essere seguita, anche perché oggi il partito anti euro AfD inizia ad essere visibile nella politica tedesca. I mercati non vogliono più avere a che fare con stati sovrani indisciplinati e poco credibili come emittenti. Quindi: o gli vengono offerti degli eurobond oppure continueranno a chiedere che Berlino garantisca il rimborso a termine. Le regole europee sono state già riscritte dalla finanza, si tratta ora di capire quanto tempo ci vorrà per prenderne atto compiutamente.

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