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Il 24 dicembre 2014, nell’ultimo Consiglio dei ministri dell’anno, il Presidente Renzi ha terremotato l’Inps designando alla sua presidenza l’economista bocconiano, il professor Tito Boeri, all’insaputa di quasi tutti i ministri (ancor di più del commissario Tiziano Treu). Solo il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, pare ne fosse venuto a conoscenza il giorno prima.

La Federspev, federazione rappresentativa di oltre 20.000 dirigenti medici, farmacisti, veterinari e loro superstiti (aderente alla Confedir, confederazione maggiormente rappresentativa della dirigenza pubblica), ritiene il cambiamento radicale in quanto Boeri è completamente fuori da quel giro di potere sindacal-governativo tipicamente romano che ha sempre gestito l’Inps: una struttura con circa 32.000 dipendenti, oltre 1.600 sportelli sul territorio e un flusso finanziario tra entrate e uscite di circa 272 miliardi di euro, erogando, a vario titolo, oltre 23 milioni di pensioni a circa 16,5 milioni di pensionati.

Il professore, oltre che dimostrare eccelse qualità manageriali (tutte da verificare), considerando fra l’altro che ancora non è stato completato l’assorbimento dell’INPDAP (ente di previdenza dei dipendenti pubblici) e dell’ENPALS (ente di previdenza del mondo dello spettacolo), dovrà confrontarsi con il governo sulle politiche previdenziali e su una sua proposta di ulteriore penalizzazione delle pensioni. Proposta esclusa (per ora) dal presidente Renzi nella conferenza stampa di fine anno del 29 dicembre scorso: “Non è detto che le idee di chi viene a darci una mano diventino programma di governo” ha dichiarato Renzi ad una agenzia di stampa riferendosi a Boeri.

La nomina del professore, però, a mio modesto avviso, potrebbe segnare l’intenzione del premier di cambiar passo (anche se non nell’immediato e in attesa della sentenza della Consulta del 10 marzo prossimo sulla illegittimità del blocco della perequazione) e metter mano alle pensioni in modo più radicale rispetto a quanto anticipato dall’ex commissario Treu nelle settimane precedenti.

Boeri, infatti, è fra i sostenitori dell’opportunità di ricalcolare le pensioni in pagamento (la quasi totalità) con il metodo contributivo già in vigore per i lavoratori assunti dopo il 1995.

Infatti il bocconiano ha affermato: “Niente scuse, è possibile chiedere un contributo di equità basato sulla differenza tra contributi versati e pensioni percepite, limitatamente a chi percepisce pensioni di importo elevato”.

Pensioni “elevate” per Boeri sono quelle superiori a 2.000 € mensili lordi (1.200 € netti circa).

Il numero dei colpiti sarebbe di circa 1,7 milioni di persone e la sforbiciata dovrebbe essere progressiva: meno 20% sulla quota in più garantita dal metodo retributivo per le pensioni fra 2 e 3.000 €; meno 30% per quelle da 3 a 5.000 €; meno 50% per quelle superiori a 5.000 €. In soldoni ogni assegno subirebbe una decurtazione dal 3 al 10% con un “esproprio proletario” di circa 4,5 miliardi.

Certo, ora bisognerà vedere se il Boeri presidente del più grande ente previdenziale d’Europa seguirà il Boeri bocconiano, e soprattutto se il presidente Renzi accetterà questa impostazione già bocciata da numerose sentenze della Corte di Cassazione e della Corte Costituzionale che tutelano i diritti quesiti. Senza contare che mancano i dati risalenti a 25-30-40 anni addietro per potere effettuare tutti i calcoli.

A conti fatti se il Boeri presidente INPS dovesse ispirarsi al Boeri bocconiano è del tutto evidente che si introdurrebbe l’ennesimo balzello a carico di un ceto medio formato soprattutto da ex lavoratori dipendenti,pubblici e privati,già tartassati e spremuti.

Proposte del genere, però, erano considerate con grande interesse dal Presidente Renzi appena entrato a Palazzo Chigi e dal suo principale consigliere economico Yoram Gutgeld che è arrivato a proporre un taglio del 10% per tutte le pensioni superiori ai 2/3.000 € lordi mensili. Poi è stato lo stesso Renzi, rendendosi forse conto dell’impopolarità di queste proposte, a bloccare ogni intervento. Prima bocciando il contributo di solidarietà proposto dall’ex commissario alla spending review, Carlo Cottarelli, e poi bloccando il ministro del Lavoro Poletti che aveva ipotizzato altri tagli non solo alle pensioni medie-alte, ma anche a quelle medio-basse (2.000 € lordi mensili).

Questi signori dovrebbero sapere che i pensionati rappresentano, in questo particolare momento di crisi, una esemplare forma di solidarietà economico-domestica praticando, infatti, una ripartizione della ricchezza all’interno della famiglia con il mantenimento di figli o nipoti disoccupati o sottoccupati. In tal modo avvantaggiano proprio la spesa pubblica.

Rappresentano, quindi, uno dei più importanti, se non il più importante, ammortizzatore sociale per una spesa annuale secondo il centro studi Confedir, di circa 7 miliardi di euro anno.

Ma anche nei bocconiani alberga qualcosa di buono: uno dei cavalli di battaglia di Boeri è, da tempo, la realizzazione della cosiddetta “busta arancione” di cui si discute da una quindicina d’anni e che servirà a far conoscere  a tutti i lavoratori quanti contributi hanno versato e quale pensione li attende.

Nel recente passato ha, inoltre, assunto giuste posizioni critiche sulle scelte fatte dai vari governi; ha polemizzato sulla riforma Fornero proponendo soluzioni che avrebbero evitato quell’oscenità degli esodati; ha criticato il governo Renzi, ritenendo, giustamente, che sia un errore mettere il TFR in busta paga.

In conclusione il nostro auspicio è che la sua nomina non produca la solita gestione professoral-bocconiana di cui il più “fulgido” esempio è stato il pessimo governo del prof Monti & c.

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