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Si avvicina il Natale, si moltiplicano anche quest’anno gli eventi ad esso connessi. Tra questi ho avuto la fortuna di partecipare al concerto di Natale promosso dal centro Astalli, la sezione italiana del Servizio dei gesuiti ai Rifugiati, nella chiesa di Sant’Andrea al Quirinale. Ovviamente c’erano tanti rifugiati, molti dei quali musulmani: seguire dentro quella bellissima chiesa, una delle poche chiese ovali di Roma, opera del Bernini, mi ha consentito di vedere incontrarsi fuori da un contesto liturgico l’idea di chiesa con quella di moschea, anche perché non è frequente vedere tanti musulmani in una chiesa .

È noto che la chiesa come edificio è pensata come casa di Dio, da noi costruita per lui. Lo indica il tabernacolo. Non c’è un qualcosa di paragonabile al tabernacolo nella moschea, che è come una casa predisposta da Dio per noi. Infatti in moschea si può facilmente vedere qualche fedele anche dormire, riposarsi, o mangiare qualcosa.

La chiesa di Sant’Andrea, come tutte le chiese quando  ospitano eventi non liturgici, mentre c’era quel concerto è diventata a mio avviso la casa che Dio ha preparato per noi e i rifugiati che vivono tra di noi, uscendo da quel nascondimento che spesso ci impedisce di vederli, di prendere atto della loro esistenza. Il pubblico ha resistito a lungo al coinvolgimento cercato dai canti, dalla musica, dal coro, da quel corteo di tradizioni popolari diverse (sefardite, balcaniche, arabe, portoghesi e molte altre), perché abituato a quel formalismo liturgico per cui in chiesa non ci si comporta come allo stadio quando vi ha luogo un concerto.

Ma i bambini, molti dei quali figli di rifugiati, nulla sapevano di questo formalismo liturgico, e hanno aiutato tutti a superare il distacco che quell’aria da Auditorium pronto a concedere solo qualche applauso alla fine dei brani, nulla di più. E così, alla potentissima Ave Maria conclusiva, l’ingessamento si è rotto, ha ceduto, il bisogno di unirsi alla musica, ai diversi canti mediterranei, ha finito col prevalere. Tutti quei canti diversi mi sono parsi unirsi in quella formula, “Ave Maria”, che omaggiava la madre comune, che per me era il Mediterraneo. Fratelli diversi, ognuno con la sua storia sulle spalle e dietro le spalle, siano persone o siano popoli, hanno bisogna di una madre comune.

E l’hanno salutata: Ave Maria. Era quella Maria di cui il cristianesimo sa e che prega e che l’Islam venera? Non lo so, sinceramente non mi è parso che questo fosse il punto. Il punto era per me nel titolo dato al concerto e che quell’Ave Maria ha comunicato a tutti: “Sacro Mediterraneo”. Questa sacralità del Mediterraneo per me è risuonata nello scandire  “Ave Maria”, che mi è parso guidare a convergenza umana, non religiosa, tutti i canti precedenti. Ma perché sarebbe “sacro” questo Mediterraneo?

Io colgo un qualcosa di evidente nel Mediterraneo che ne evidenzia la sacralità agli occhi di credenti e non credenti. Il suo mistero è quello di unire: tre fedi (ebraismo, cristianesimo e islam), tre rive (quella mediterranea, quella asiatica, quella africana) e un’infinità di popoli che non so contare, in una sola unità. Questa unità i cristiani la riconoscono nel valore universale del ramoscello d’ulivo, segno di pace tra le genti e tra queste e la divinità, per loro Dio ovviamente: e questo ramoscello d’ulivo, o per meglio dire d’olivo, non può che venire, nascere qui, visto che solo sulle coste del Mediterraneo nasce l’olivo e quindi i suoi rami. Questo simbolo è dunque europeo, asiatico, africano, cioè è comune al mondo conosciuto quando emerse, sebbene solo ai Paesi rivieraschi.

Non è tedesco, pur essendo la Germania europea, ma non rivierasca come la Grecia, non è congolese, pur essendo il Congo africano, ma  non rivierasco come la Tunisia. Non è cinese, pur essendo la Cina asiatica, ma non rivierasca come la Siria, o la Turchia. Dunque il Mediterraneo è sacro in questo senso: unisce ciò che non è unito, ma che qui, lungo le coste del Mediterraneo, trova la sua casa comune, e il simbolo della possibilità di vivere insieme.

Dunque il Mediterraneo è sacro perché è il Mar Cosmopolita. Ebraismo, cristianesimo, islam, trovano qui la sacralità che unisce in una visione comune e non omologante, totalizzante, irriguardosa di ciò che è diverso.

C’è un mistero che, volendo spingersi oltre, il Mediterraneo pone sotto i nostri occhi. Questo mare-cerniera tra tre continenti, e quindi di nessuno dei tre e di tutti e tre contemporaneamente, parla evidentemente di pluralismo. Il pluralismo, sacro al Mediterraneo, diviene sacro se il Mediterraneo è davvero sacro nel suo intimo, innato pluralismo.

Nessun altro spazio è unitario e plurale al contempo: c’è, come ho detto, il Mediterraneo asiatico, quello europeo, quello africano. Se ci sono paesi transcontinentali questi ci sono perché così sono stati definiti i loro confini da noi, non dalla natura e probabilmente dalla storia, che è mutevole però. Dunque il Mediterraneo per me iscrive il pluralismo nel progetto divino.

E questo è il motivo per cui tradendo il Mediterraneo tradiamo noi stessi, la nostra civiltà. Questa iscrizione del pluralismo nel disegno di Dio non è una mia illusione, sta sancita nel documento sulla fratellanza umana firmato da Papa Francesco e dall’imam di al Azhar: “La libertà è un diritto di ogni persona: ciascuno gode della libertà di credo, di pensiero, di espressione e di azione. Il pluralismo e le diversità di religione, di colore, di sesso, di razza e di lingua sono una sapiente volontà divina, con la quale Dio ha creato gli esseri umani. Questa Sapienza divina è l’origine da cui deriva il diritto alla libertà di credo e alla libertà di essere diversi. Per questo si condanna il fatto di costringere la gente ad aderire a una certa religione o a una certa cultura, come pure di imporre uno stile di civiltà che gli altri non accettano”. Sì, sacro Mediterraneo, casa comune delle diversità.

Sacro Mediterraneo? Sì, ecco perché. La riflessione di Cristiano

Il Mediterraneo è sacro perché è il Mar Cosmopolita. Ebraismo, cristianesimo, islam, trovano qui la sacralità che unisce in una visione comune e non omologante, totalizzante, irriguardosa di ciò che è diverso. Il pluralismo, sacro al Mediterraneo, diviene sacro se il Mediterraneo è davvero sacro nel suo intimo, innato pluralismo

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