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I due principali Paesi coinvolti, l’Iran per l’appunto, e gli Usa, si dichiarano fiduciosi. Washington, e in particolare Barack Obama, ha bisogno di conseguire quello che potrebbe essere forse l’unico grande risultato in politica estera della sua presidenza, oltre a evitare il rischio di una ulteriore proliferazione nucleare. Teheran, invece, vuole quanto prima vedere annullate le sanzioni che stanno portando la sua economia al collasso. In entrambi i casi si tratterebbe di una vittoria.

L’accordo, però, qualora arrivasse, comporterebbe anche una serie di interrogativi e lascerebbe sul campo soddisfatti e scontenti. In particolare l’Arabia saudita, rivale regionale dell’Iran. Le due nazioni, la prima sunnita e la seconda sciita, sono su fronti opposti in quasi tutti i conflitti dell’area. Inoltre, un accordo potrebbe rendere ancora più difficile contrastare i terroristi di al-Baghdadi, perché aumenterebbe la diffidenza saudita nella già fragile coalizione, a guida americana, che combatte l’Isis, e alla quale finora Teheran non partecipa. Un nuovo dilemma è servito.

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