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Per fortuna ci sono alcuni elementi positivi (o potenzialmente tali) che potrebbero indurre a non considerare conclusi definitivamente il grande ciclo rialzista delle borse e, soprattutto, la ripresa
globale iniziata nel 2009.

Il primo, anch’esso non previsto dai modelli econometrici, è l’impressionante discesa del petrolio, che ha tutta l’aria di essere strutturale. Per i paesi importatori ha lo stesso effetto di un taglio delle imposte sui consumi. L’America, per quanto produttore di quantità crescenti di greggio e di gas, è ancora importatore netto e quindi trae anch’essa beneficio dalla nuova situazione, anche se meno di Europa, Asia e Giappone.

Il secondo è che gli utili del terzo trimestre, in via di pubblicazione, sono nel complesso all’altezza delle previsioni.

Il terzo è il già evidente cambiamento nella retorica della Fed. Fino a oggi le colombe si affannavano a sottolineare i punti deboli dell’economia americana con l’obiettivo di giustificare Qe e tassi a zero. Oggi insistono invece sulla sua forza strutturale, cercando così di infondere fiducia nei mercati. Nonostante questo, fanno capire che terranno i tassi a zero, in caso di bisogno, più a lungo di quanto non si era incominciato a pensare.

Il quarto è che sta allargandosi velocemente la consapevolezza che le politiche fiscali dovranno tornare ad affiancare le politiche monetarie nel sostegno alla domanda. Non lo dice più solo Krugman, lo affermano anche Schauble in Germania e, novità assoluta, repubblicani moderati come Glenn Hubbard, già capo dei consiglieri economici di Bush figlio. Una vittoria repubblicana anche al Senato potrebbe addirittura facilitare la cosa. In Europa, per non appesantire i disavanzi pubblici e non privare Schauble dello scopo della sua vita, il pareggio di bilancio tedesco nel 2015, si cercherà di usare al massimo la Bei e di attivare partnership tra pubblico e privato. I tempi purtroppo non saranno brevissimi, ma il messaggio sarà importante.

Il quinto è che il Qe europeo è appena cominciato e non potrà che accelerare.

Il sesto è che molti mercati si sono levati il pensiero della correzione del 10 per cento, quella che non si vedeva da troppo tempo e che ad alcuni toglieva la voglia di comprare.

Il settimo è che le clamorose falle di sistema nella risposta iniziale a Ebola in Spagna e in America hanno dato la sveglia, si spera, alle autorità politiche e sanitarie, adagiate finora in un atteggiamento compiaciuto e teso solo a rassicurare il pubblico. Sono in preparazione in giro per il mondo una decina di vaccini che sembrano promettenti sugli animali e che verranno sperimentati in Africa già da dicembre.

Ci viene ripetuto in queste ore che i mercati saranno ancora più volatili. Non lo sappiamo, anche perché la volatilità è molto difficile da prevedere. Spesso si usa la parola volatilità come un eufemismo che copre il concetto di discesa. Noi la intendiamo come un movimento irregolare vivace o anche violento che può essere diretto verso il basso ma anche verso l’alto. In generale ci sembra un po’ tardi per vendere ma ancora presto per comprare.

A chi ha una quantità non eccessiva di azioni suggeriamo di tenere, senza farsi tentare dal comprare ancora. A chi ha molto consigliamo di vendere qualcosa su forza. A chi ha poco o nulla raccomandiamo di acquistare a piccole dosi su particolare debolezza.

Il dollaro non ci preoccupa. Il ritracciamento in corso è causato dalla chiusura generalizzata delle posizioni a leva e non rappresenta un’inversione di tendenza.

Estratto dalla newsletter il Rosso e il Nero

7 buone ragioni per essere ottimisti su economie e Borse

Per fortuna ci sono alcuni elementi positivi (o potenzialmente tali) che potrebbero indurre a non considerare conclusi definitivamente il grande ciclo rialzista delle borse e, soprattutto, la ripresa globale iniziata nel 2009. Il primo, anch’esso non previsto dai modelli econometrici, è l’impressionante discesa del petrolio, che ha tutta l’aria di essere strutturale. Per i paesi importatori ha lo stesso effetto…

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