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“Ci sono due risoluzioni dell’Onu, la 2170 di agosto e la 2178 di settembre, che legittimano un impegno duro per fermare questa organizzazione terroristica”. A sostenerlo è Enzo Amendola, responsabile Esteri del Pd e capogruppo in commissione Esteri alla Camera, che in una conversazione con Formiche.net illustra i possibili scenari di azione contro l’Isis, chiosando la lettera al Corriere della Sera dei presidenti delle commissioni esteri di Camera e Senato Fabrizio Cicchitto e Pier Ferdinando Casini.

Come commenta la missiva di Casini e Cicchitto sulla necessità di inviare truppe di terra per contrastare con efficacia l’Isis?

Quella lettera è la dimostrazione della consapevolezza e della piena responsabilità di una maggioranza parlamentare a sostegno dell’operato del governo. Una responsabilità che abbiamo dimostrato da agosto, quando siamo intervenuti tempestivamente nella nascente coalizione contro il terrore per aiutare le minoranze in fuga in Irak. Ed è una responsabilità che quella lettera affida al governo nel pieno sostegno alle sue scelte.

Quali i risultati raggiunti?

Alcuni risultati ci sono stati: parlo innanzitutto dell’azione disposta dal ministro degli Esteri Federica Mogherini, che ha fatto sì che dopo il vertice della Nato in Galles e della dichiarazione di Jeddah, a settembre si è formalizzata una coalizione internazionale con la conferenza di Parigi. Lo dico alle forze delle opposizioni che, in maniera anche contraddittoria, hanno criticato la nostra scelta. Ci sono due risoluzioni dell’Onu, la 2170 di Agosto e la 2178 di Settembre che legittimano un quadro di riferimento per un impegno duro per fermare questa organizzazione terroristica.

Come procedere?

Un primo stadio si è raggiunto limitando la circolazione economica che li alimentava, chiudendo canali di finanziamento e rafforzamento militare. Punto di svolta è stata proprio la cooperazione tra i maggiori protagonisti regionali ed extra regionali a cui si aggiunta da ultimo la Turchia con il voto della settimana scorsa in Parlamento. Una strategia a tutto campo e che unisce gli sforzi come non si vedeva da anni anche adottando misure nuove, come ha confermato ieri il ministro dell’Interno Alfano, per intervenire sul tema specifico dei “foreign fighters”.

Nella lettera si parla di “snodo cruciale della sicurezza globale”: quante chance ha l’Onu di riuscirci?

E’ necessario usare toni appropriati. Ieri l’inviato De Mistura ha definito un quadro drammatico, la strategia dello Stato Islamico è chiara, come lo era ad agosto in Irak: portare avanti una pulizia etnica innanzitutto ai danni delle minoranze in Irak e Siria, affermandosi di fatto come entità ed abituare l’opinione pubblica della regione alla propria presenza tra il Tigri e l’Eufrate. E’ evidente che i primi colpi subiti dalla coalizione con i bombardamenti hanno modificato la strategia di tale organizzazione, con una azione concentrata città per città: condurre le proprie operazioni nascondendosi nei centri abitati a partire dal quartier generale di Raqqa, dove gli attacchi aerei sono poco efficaci.

Ciò che è accaduto a Kobane mette in luce qualche errore di strategia commesso nella fase iniziale?

Ci troviamo di fronte ad un pericolo nuovo, figlio della guerra per procura che ha incendiato il Medio Oriente negli ultimi anni. Non a caso l’epicentro del progetto dell’IS è nel nord della Siria, devastata da una guerra civile cruenta. Proprio dalle ambiguità createsi, questa organizzazione ha tratto linfa economica e militare per portare avanti un piano totalitario, che è andato oltre la rivolta iniziale contro Assad. E le ambiguità di chi ha foraggiato diverse organizzazioni contro il dittatore siriano oggi chiamano tutti ad una responsabilità nuova. C’è un’emergenza, nella provincia dell’Anbar e sul confine turco siriano, quindi c’è la necessità per la coalizione di passare ad uno stadio successivo della lotta al terrorismo di Daesh (il nome con cui il mondo arabo chiama l’Isis). Una discussione da fare in sede Onu, con delle scelte politico militari conseguenti tra le forze di quei Paesi che hanno firmato alla conferenza di Parigi. L’unità della coalizione contro il terrore è la via per fermare la pulizia etnica delle milizie di al-Baghdadi.

Quale sarà il ruolo dell’Italia?

Anche l’Italia farà la propria parte come ha sempre ripetuto il nostro premier. Il Parlamento ha dimostrato decisione nel sostegno e per questo il prossimo giovedì le commissioni Esteri e difesa di Camera e Senato si incontreranno congiuntamente per discutere del nostro impegno con i ministri competenti.

Come valutare le ambiguità della Turchia?

Da tempo, come commissione Esteri, abbiano avuto una diplomazia parlamentare molto attiva in Medio Oriente, come dimostra la nostra visita in Egitto subito dopo l’elezione di al-Sisi per verificare possibilità di comune impegno per stabilizzare zone di conflitto. Lo stesso con la Turchia, in dialogo con i parlamentari turchi, tentando di ingaggiarli sull’orizzonte geopolitico turco che a mio parere ha determinato nel recente passato nell’area fratture e divisioni. Adesso con il voto parlamentare la Turchia ha scelto di far parte della coalizione, ciò impone a tutti di muoversi di comune accordo e con strategie unitarie: sia per l’emergenza umanitaria ai confini con la Siria, dove la minoranza curda è sotto assedio, sia per fermare il caos mediorientale.

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