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Di Angela Merkel si può dire tutto il male politico che si vuole, soprattutto per la politica di austerità che ha imposto al resto d’Europa, ma non si può negare che sia una vera statista, di statura mondiale. Ne ha dato prova anche nelle ultime ore, cambiando cavallo in vista della nomina della nuova Commissione Ue, in programma per il 30 agosto. Fino a pochi giorni fa, si dava per scontato che la Germania avrebbe conservato il dicastero europeo dell’Energia, confermando nell’incarico di commissario Gunther Oettinger, esponente dello stesso partito della Merkel. Quello dell’energia è un settore strategico in un Paese ad elevata concentrazione di industrie manifatturiere come la Germania, e presidiarlo con un proprio commissario sembrava la cosa più logica per diversi aspetti, divenuti di recente problematici. Tra questi, le polemiche sulle ingenti importazioni tedesche di gas russo, che continuano nonostante la crisi Ucraina, e il contenzioso con la stessa Commissione Ue, che da tempo ha messo sotto esame le tariffe tedesche dell’energia elettrica, ravvisando l’ipotesi di aiuti di Stato all’industria siderurgica e alla chimica. Con queste premesse, la candidatura di Oettinger era stata avallata da tutti i maggiori esponenti del Partito popolare europeo, e data praticamente per fatta.

A sorpresa, come riferisce il sito Euractiv.com, la Merkel ha deciso di cambiare strategia. Ora non vuole più il portafoglio europeo dell’Energia, ma quello del Commercio, da affidare sempre a Oettinger, suo uomo fidato. Il motivo? Con una rapidità di visione che soltanto i grandi statisti posseggono, la cancelliera ha capito meglio di altri colleghi l’importanza dell’accordo raggiunto a Fortaleza tra i Paesi Brics (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica), un accordo che è destinato a cambiare l’architettura monetaria nel mondo (vedi Italia Oggi di venerdì e di lunedì scorsi), e ne ha dedotto che nei prossimi anni la vera front line della politica mondiale, soprattutto per un Paese esportatore come la Germania, sarà quella del commercio. Tanto più se si considera l’insistenza con cui gli Stati Uniti di Barack Obama vogliono arrivare a chiudere entro l’anno il negoziato Ttip, il grande accordo transatlantico per il commercio e gli investimenti, che ha l’obiettivo di creare un grande mercato di libero scambio tra Usa e Unione europea, senza più dazi né barriere tariffarie in quasi tutti i settori del commercio, finanza esclusa.

A rafforzare la Merkel nella scelta del portafoglio Ue del Commercio, rinunciando così a quello dell’Energia, ha certamente contribuito un altro fatto, o, per meglio dire, una sentenza. Ai primi di luglio, nel pronunciare un verdetto che riguardava i sussidi allo sviluppo dell’energia verde in Svezia, l’alta Corte di giustizia europea ha fissato alcune regole generali che, guarda caso, vanno a favore anche della Germania. Per l’Alta Corte i sussidi pubblici sono in regola con le norme antitrust se l’energia verde prodotta rimane nei confini nazionali. Di riflesso, un’assoluzione anche per i giganti energivori tedeschi della chimica e della siderurgia, che godevano di tariffe elettriche scontate, e potranno continuare a farlo. Così, infatti, ha subito commentato il leader socialdemocratico tedesco, Sigmar Gabriel, vice-cancelliere, nonché ministro dell’Economia e dell’Energia, lo stesso che poche settimane prima aveva accusato la Commissione Ue di volere «deindustrializzare» la Germania con le sue accuse sugli aiuti di Stato.

Dopo una sentenza simile, era evidente che per la Germania sarebbe stato uno spreco politico conservare Oettinger a guardia dell’Energia. Meglio puntare sul commercio. E nel week end, appena si è appreso il nuovo orientamento della Merkel, i vertici della Camera dell’Industria e del Commercio tedesca sono andati in estasi: «Sì, quello del Commercio deve essere il nostro portafoglio europeo. E Oettinger deve diventare il capo della delegazione europea impegnata nelle trattative per l’accordo Ttip con gli Stati Uniti». Inutile aggiungere che era proprio questo l’obiettivo che la Merkel voleva centrare.

Finora, come ItaliaOggi ha rivelato in più occasioni, non è che le trattative tra Usa e Ue si fossero svolte all’insaputa dei tedeschi. Anzi, il personaggio-chiave del negoziato per la parte europea è stato proprio un tedesco, Paul Nimitz, dirigente del dicastero Ue della Giustizia, che in materia ha contato più del presidente uscente José Barroso, ed ha agito sempre in stretto contatto con la Merkel. Non solo. Mentre gli americani hanno messo in campo 600 consulenti delle multinazionali Usa, l’Ue ha agito mediante una piccola task force, sul cui operato è stato mantenuto per mesi il riserbo assoluto. Un metodo criticato da molti in Europa, perfino dai socialdemocratici tedeschi. Tanto è vero che Martin Schulz, appena riconfermato alla guida del Parlamento europeo, ha imposto la pubblicazione dei verbali del negoziato Ttip, applaudito dai partiti che si oppongono a questo accordo, sia a sinistra (in testa i Verdi) che a destra (Marine Lepen).

Con la sua mossa (e se Oettinger avrà il Commercio Ue), la Merkel si colloca al centro di un negoziato al quale l’America di Obama conferisce un’importanza strategica, con l’intento di fare degli Usa il perno di due grandi mercati, uno transatlantico con l’Europa, e uno transpacifico con il Giappone, in opposizione alla Cina. In entrambi i casi, però, il presidente Usa dovrà fare i conti con una Germania forte politicamente in Europa, ed economicamente in Asia, specie in Cina. Soprattutto, dovrà misurarsi con la Merkel, una statista lucida, dai riflessi pronti. Chapeau!

Le mire di Merkel sulla Commissione europea in fieri

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