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Il G20 di Brisbane si è concluso con molte parole inanellate in un lungo comunicato e in ben 12 documenti annessi che spaziano alla finanza all’energia. Il fumo è tanto, ma l’arrosto è nelle sei righe del primo punto che opera un cambiamento di approccio alla crisi: il problema numero uno è la caduta della domanda. Finalmente i potenti del mondo riconoscono la nuda realtà. La politica dell’offerta (quindi le riforme strutturali) è importante per migliorare la crescita potenziale, ma nel breve termine bisogna aumentare consumi e investimenti (viene mobilitata la Banca Mondiale e si dà il via a una poliennale Global Infrastructure Initiative). L’obiettivo questa volta è anche quantificato: aggiungere due punti percentuali al pil mondiale entro il 2018.

La linea tedesca, che punta tutto sull’offerta, è minoritaria; ciò vuol dire che l’austerità rientra nel cassetto? Quando dai princìpi si scende alle scelte concrete, i venti leader si perdono in definizioni generiche quanto involute. Tutti si dicono impegnati a creare le condizioni per un nuovo sviluppo, c’è da giurare che ciascuno farà di testa propria. Berlino, dunque, può tirare un sospiro di sollievo, nessuno la potrà costringere; il G20 non è il governo mondiale.

Ciò vale per la macroeconomia come per tutto il resto, dal sistema finanziario alle emergenze sanitarie (vedi Ebola) fino all’energia. Il G20 vi dedica molto spazio nel comunicato finale e ben due documenti annessi, delineando una cornice di cooperazione. E tuttavia il meeting australiano ha avuto un convitato di bronzo, un certo Vladimir Putin che usa l’energia come strumento di ricatto. Le prime sanzioni, sia pur blande, hanno scosso il rublo, il crollo dei prezzi del petrolio mette in discussione gli equilibri finanziari ed economici (la Russia ha bisogno di un prezzo attorno ai 100 dollari al barile per far quadrare i conti), e il nuovo zar evoca un “collasso catastrofico”, dice che il suo paese si sta preparando per questo. Il sottinteso è chiaro: è pronta l’Europa? E’ pronto l’Occidente?

Barack Obama dice che la politica putiniana è una minaccia alla sicurezza del mondo intero. Parole forti alle quali seguono gesti deboli, debolissimi. Il presidente russo ha sfoggiato la sua abituale arroganza minacciando di andarsene. Forse qualcuno gli ha detto: si accomodi se ne ha il coraggio? No, deve prevalere il dialogo. Tanto che Matteo Renzi gli ha rinnovato l’invito a Expo 2015. I giornali scrivono che Putin è isolato. Può darsi, intanto sta lì, piantato come il saraceno Rodomonte in mezzo ai ciarlieri paladini cristiani. Sarà Federica Mogherini a impugnare la lancia magica di Bradamante?

E’ evidente a tutti che se Mosca non cambia politica, non c’è cooperazione energetica possibile e la crisi dei prezzi petroliferi (generata sia dalla stagnazione sia dalla rivoluzione tecnologica americana) è destinata ad aggravarsi. Ma non c’è nemmeno la possibilità di trovare una linea comune in termini di sicurezza globale. E proprio gli “squilibri geopolitici” come vengono definiti in gergo diplomatico, sono ormai la fonte principale di questa nuova puntata della Grande Transizione.

L’Unione europea appare come il vaso di coccio: troppo dipendente dal gas russo e sotto ricatto, senza una politica energetica comune e senza una politica estera (che a quella energetica nella situazione attuale è strettamente legata). La strategia di buon vicinato perseguita negli anni scorsi con pavloviana ostinazione è morta e sepolta. Bisognerà crearne una nuova, come suggerisce un recente documento di lavoro della sezione europea del Carnegie Endowment for International Peace. E’ un compito che ricade sulle giovani e ancor gracili spalle della Mogherini.

L’ex titolare della Farnesina sta già cambiando molto rispetto a certe sue originarie posizioni, ma non risulta che abbia preparato questa svolta. Tanto meno è pronta la commissione Juncker. Per l’Italia, poi, c’è un difficoltà in più: alcune scelte potranno entrare in contrasto con l’approccio tradizionale della diplomazia al quale si tiene strettamente legato il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Vedremo come si orienterà il nuovo ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni. Senza contare che le improvvisate di Renzi possono a loro volta spiazzare tutti. Questo governo non ha ancora mostrato di avere una politica estera. Il vuoto della Ue e la debolezza degli Stati Uniti non lo aiutano.

Stefano Cingolani

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