Skip to main content

Secondo le informazioni diffuse dai servizi israeliani in questi giorni, sarebbero più di 11 mila i missili in possesso di Hamas (ora alleggeriti di una migliaia, visti i lanci). Hamas avrebbe acquistato negli ultimi due anni, ordigni capaci di colpire a lunga distanza come gli M-302 (qui una mappa che dimostra come il raggio di azione possa arrivare fino a Tel Aviv); sarebbero realizzati in Siria copiando il cinese WS-1 e dietro alle operazioni di import, ci sarebbe l’Iran. Gli M-302 vanno sommati, come svela il Meir Amit Intelligence and Terrorism Information Center (citato su Formiche in un articolo di Michele Pierri), a centinaia di altri razzi con raggio d’azione pari o superiore ai 75 chilometri (gli R-160 e i Fajr-5 capaci di arrivare fino a Tel Aviv) e a migliaia di Qassam e Grad in grado di colpire obiettivi posizionati tra i 15 e i 40 chilometri.

Ma Hamas non è solo i missili lanciati verso Israele: l’organizzazione è molto di più. Il riferimento non va alla sezione “welfare” e a quelle dedicate ai programmi sociali – tanto organi di propaganda, quanto attività di sostentamento alla popolazione di Gaza – ma è diretto alle varie ramificazioni della struttura militare. A cominciare, per esempio, dal sistema di approvvigionamento armi e di addestramento (Al-Mujahiddin al-Filastinun), per continuare con il Jehaz Amam, un servizio segreto interno finalizzato al controspionaggio. Poi ci sono i combattenti, secondo le stime israeliane sarebbero qualche centinaio, tutti stipendiati. Una struttura organizzata – lontana dalla spontaneità – il cui bilancio fu stimato nel 2009 dal Council of Foreign Relations in 70 milioni di dollari all’anno. Invece il bilancio pubblico di Gaza è di circa 500 milioni, e viste le ristrettezze economiche, molto spesso dipendenti pubblici, maestri, medici, eccetera, restano senza stipendio: i combattenti mai.

Ma da dove arrivano i finanziamenti? Nei primi anni 2000, si sapeva che l’Arabia Saudita aveva messo mano al portafoglio: organizzazioni caritatevoli islamiche, secondo il ministero degli Esteri israeliano, mandavano annualmente qualcosa come 50 milioni di dollari a Gaza (di questi 12 partivano proprio dalle casse degli Stati del Golfo, mossi dal Regno) – all’epoca l’Iran ne mandava soltanto 3 all’anno.

Da uno studio dell’American Center for Democracy sul finanziamento delle organizzazioni terroristiche (Hamas è classificata tale da USA, UE e diverse altre nazioni), emerse che un’associazione di beneficenza saudita (che si chiama Consiglio saudita a sostegno dell’Intifada palestinese, il nome è programmatico), forniva – e forse ancora fornisce – oltre 5 mila euro mensili alle famiglie di 102 militanti uccisi (una decina erano attentatori suicidi); dietro all’associazione, ci sarebbe stato l’ex ministro dell’Interno di Riad, Nayef bin Abdul-Aziz Al Saud.

Ma il flusso di soldi dall’Arabia Saudita ha visto una sensibile riduzione già nel 2004, a fronte del repulisti imposto da re Abdullah – anche sotto le forti pressione americane – per allontanare il proprio paese dai sospetti di collaborazione con il mondo dei terroristi (sembra tuttavia, che singoli finanziatori continuino tuttora ad operare).

Altri corposi finanziamenti, arrivano dai palestinesi fuori dal territorio; tra questi, per esempio, fu emblematico il caso scoperto dalla DEA nel 2002 (qui un report): gli oltre 20 mila arabi (palestinesi sì, ma anche libanesi) che vivono nell’area di Foz do Iguaçu (nella regione triconfine brasiliana del Paranà, stretta a sud dall’Argentina e ad ovest dal Paraguay). Questi si sarebbero autotassati con cifre dai 500 ai 2000 dollari, raggiungendo la cifra di centinaia di migliaia di dollari, passati ad Hamas tra il 1999 e il 2001.

Poi c’è l’Iran. Fin dalla fine dagli anni Novanta, i mullah hanno inviato cataste di armi e soldi ad Hamas, che hanno avuto un picco tra il 2006 e il 2009 – periodo in cui si stima che da Teheran arrivavano oltre cento milioni l’anno. Nel 2009 il giro di soldi fu reso più complicato dalle sanzioni internazionali contro la Repubblica Islamica; nel 2011 invece Teheran chiuse (per un po’) i rubinetti, indispettito dal fatto che Hamas non aveva preso posizioni favorevoli ad Assad sulla crisi siriana, e le relazioni andarono via via compromettendosi fino alla (quasi) rottura nel 2012.

Negli ultimi mesi, tuttavia, l’Iran ha riavviato il sostegno ad Hamas. Il riavvicinamento sarebbe stato mediato dal Qatar: incontri, discussioni, progetti, per permettere che il legame potesse tornare stretto – si parla anche di una visita del leader palestinese Khaled Meshaal (ospitato a Doha) a Teheran e di un incontro con l’ayatollah Khamenei in persona.

Dietro c’è un complesso scenario regionale. La presa del potere di al-Sisi, non ha solo spezzato i rapporti con Hamas – da sempre vicina all’Egitto, dato che il movimento nasceva proprio come braccio operativo della Fratellanza musulmana nel conflitto del Vicino Oriente – ma ha anche favorito degli spostamenti geopolitici. Da un lato, l’Arabia Saudita si è avvicinata al Cairo, inasprendo sempre di più i rapporti con il Qatar; tensioni che hanno accompagnato l’annuale vertice della Lega Araba (se n’era parlato su Formiche), polarizzando gli stati presenti in due schieramenti: da un lato i pro-Fratellanza (accodati al Qatar), dall’altro quelli che, come i sauditi, volevano scrollarsi di dosso il peso dell’entità panaraba – tra l’altro, Riad ha preso da tempo la “via egiziana”, dichiarando l’lhwan un’organizzazione terroristica.

A questo punto, però, lo scenario va allargato nell’ottica del “i nemici dei miei nemici (i sauditi), sono miei amici”, che ha sta saldando il rapporto tra Doha e Teheran – il primo progetto (realizzato) del nuovo tandem, è stato proprio il rientro dei finanziamenti iraniani nelle casse di Hamas.

Sicuramente i mullah hanno problemi a spiegare la scelta agli altri due alleati storici nell’area – e qui si amplia la questione geopolitica. La sunnita Hamas (e pure il Qatar) e l’Iran, hanno posizioni molto diverse sulla Siria, e a quanto sembra sia il governo di Damasco sia i fidi Hezbollah libanesi, non sarebbero stati troppo contenti della decisione della Repubblica islamica di porre Hamas all’interno del proprio asse.

È noto che alcuni palestinesi combattono in Siria, spesso le Brigate Qassam hanno allungato le mani su armi contrabbandate verso il conflitto, e si pensa pure che dietro agli attentati di Beirut contro i vertici di Hez possa esserci la mano di Hamas – che tuttavia ha sempre negato. Non facile, dunque, per Teheran, conciliare i due schieramenti; ma ci sta provando.

A quanto sembra, la strada intrapresa è quella del rispetto delle diverse posizioni sulla guerra civile siriana, per preservare un partnariato strategico. Secondo Salah Bardawil, personaggio di primo piano di Hamas, il rapporto con Hezbollah può essere comunque buono, nonostante la divergenza sulla Siria. E anche alcuni esponenti palestinesi in Libano, hanno fatto sapere di lavorare per rafforzare l’intesa tra le due realtà.

Secondo diversi analisti, il riconsolidamento dei legami tra Hamas e Iran, è il frutto di un rimpasto geopolitico regionale che vede, da una parte il nuovo Egitto di Sisi stringere con Israele (e con l’Arabia), dall’altra la polarizzazione settaria dell’intera area; con Teheran, sciita, interessato all’imbonimento di Hamas, sunnita.

E alla fine, il pragmatismo domina anche queste vicende (quasi a dire, alla faccia del Califfo): l’Iran, alla continua ricerca di maggiore influenza pompa sangue nelle vene di Hamas e dalla Palestina non possono certo rifiutare un tale aiuto. C’è da chiedersi se il rinfuocarsi delle tensioni (il rapimento, i missili, le rivendicazioni, i proclama), non siano conseguenza di questo nuovo interessamento iraniano: una dimostrazione di Hamas, una prova di fiducia per Teheran.

@danemblog

La geopolitica dei finanziamenti a Hamas

Secondo le informazioni diffuse dai servizi israeliani in questi giorni, sarebbero più di 11 mila i missili in possesso di Hamas (ora alleggeriti di una migliaia, visti i lanci). Hamas avrebbe acquistato negli ultimi due anni, ordigni capaci di colpire a lunga distanza come gli M-302 (qui una mappa che dimostra come il raggio di azione possa arrivare fino a Tel…

Nasce il sindacato dei bambini lavoratori in Bolivia

In Bolivia 850mila bambini e adolescenti sono lavoratori. Una percentuale altissima, circa il 28% dei ragazzi tra i cinque e i 17 anni. Di questi impiegati precoci, l'87% lo fa in condizioni rischiose per l’integrità fisica e mentale e il 77% non viene pagato. Trattandosi di bambini. non ci sono normative o enti che ne regolino l'impegno. Ma in un…

Vi spiego da cosa dipende il cessate il fuoco tra Israele e Hamas. Parla Benedetta Berti

Continua la crisi in Medio Oriente tra Israele e Hamas. Dopo un'escalation di violenza e bombardamenti reciproci durata giorni, in mattinata il governo di Tel Aviv aveva approvato la proposta egiziana di cessate il fuoco, rifiutata invece dal gruppo palestinese che ha lanciato razzi verso il territorio dello Stato ebraico dando nuovamente il via alle ostilità dopo sei ore di…

La Festa della Repubblica all'ambasciata francese vista da Pizzi. Tutte le foto

"Sembrava di essere alla festa dell'Unità", ha bofonchiato qualche moderato ben poco renziano in vena di malignità. Eppure scorrendo le foto di Umberto Pizzi per Formiche.net la malignità ha qualche base nella gallery. Certo, c'erano anche Pierferdinando Casini e Mario Monti, non proprio abituali frequentatori delle feste dell'Unità, ma a Palazzo Farnese, il 14 luglio, per la Festa della Repubblica organizzata…

Benvenuti al Salone di Farnborough: aziende, prodotti e curiosità

Gli organizzatori del salone di Farnborough, in programma dal 14 al 20 luglio, hanno confermato che l'edizione di quest'anno sarà, tra le altre cose, caratterizzata da una forte presenza degli Stati Uniti, la maggiore di sempre rispetto agli anni precedenti. Presenti più di 230 espositori, che con i loro padiglioni ed i loro prodotti copriranno oltre 7.500 metri quadrati di…

Governo Cameron, ecco chi entra e chi esce

  Il primo ministro britannico David Cameron ha deciso per un cambio di marcia nel governo, promuovendo donne ed euroscettici nei posti chiave, in vista delle elezioni nazionali nel maggio del prossimo anno. Le donne ora sono il doppio rispetto al precedente esecutivo, ben sei. SORPRESA La sorpresa è quella di William Hague, il diplomatico più in vista della Gran…

Ecco i 10 punti (poco flessibili) dell'Agenda Juncker

Un risultato contenuto quello di Jean-Claude Juncker che, nonostante l’accordo tra i 3 grandi gruppi Politici (PPE, S&D e ALDE), è stato eletto presidente della Commissione europea con 422 voti (250 i contrari e 47 gli astenuti). I numeri dovevano essere più alti, considerando che  la somma degli eurodeputati dei 3 gruppi è pari a 479, ma evidentemente le sue…

I gestori "responsabili" valgono 45mila miliardi $

Nonostante un 2013 vissuto con qualche travaglio nel finale, culminato con la notizia che sei fondi pensione danesi hanno lasciato l'organizzazione (Addio al Pri se pecca di governance), il Pri festeggia un periodo da numeri record, sulla scia del boom degli investimenti sostenibili e responsabili nel mondo. Secondo i dati diffusi dall’organizzazione che gestisce i Principi per l’Investimento Responsabile lanciati…

Tramonto inglorioso di un grande leader

Che Silvio Berlusconi possa essere annoverato tra i grandi personaggi politici della Repubblica credo non vi possa essere dubbio. Che il suo carisma e la sua empatica abbiano trasformato, per non dire stravolto, la stessa idea di leadership è altrettanto acclarato. Che, infine, un’evidente inadeguatezza culturale sia la vera causa dell’inevitabile quanto inesorabile tramonto è semplicemente una costatazione. I fatti…

La guerra dell’acqua in Medio Oriente

Così come la terra è il nuovo bene su cui vale la pena investire, l’acqua è diventata un’arma di guerra. Da Aleppo in Siria a Bassora in Irak. L’acqua è ormai per alcuni aspetti un elemento più prezioso ed strategico del petrolio perché senza semplicemente non ci si più vivere. Chi ha il controllo di dighe, fiumi, canali ed impianti…

×

Iscriviti alla newsletter