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Pubblichiamo grazie all’autorizzazione del gruppo Class Editori e dell’autore, l’articolo di Riccardo Ruggeri uscito sul quotidiano Italia Oggi diretto da Pierluigi Magnaschi.

Caro Professor Valletta,

il grande giorno è arrivato. La sua (nostra) Fiat non c’è più, è evaporata in una nuvola di nebbia proveniente dai Grandi Laghi. Un signore con un golfino scuro ha suonato una campanella, ci sono stati tanti sorrisi, tanti applausi, una commozione composta: è nata FCA.

Le assicuro che la «F» di FCA sta in luogo di Fiat, ma devo confessarle che molti si vergognano di usare il logo Fiat, e tendono a far finta di non essere italiani. Persino il nostro Premier attuale, per complimentarsi dell’evento, ha scelto un’ officina di Detroit (ricevendo applausi scroscianti), non il doveroso «tempio» di Mirafiori. Che tristezza.

Declinando l’acronimo, il «Fabbrica» è termine ormai desueto, usato solo più da un curioso sindacalista, non pensi a Di Vittorio, la prego. L’ultima sua bizzarria: vuole occupare le fabbriche, molte vuote, altre con qualche macchina utensile a macchia di leopardo, spesso senza neppure gli operai. Con lei regnante, nei mitici anni ’50-’60, noi operai anelavamo fare gli straordinari (grazie agli straordinari potei sposarmi, i miei figli devono tutto agli straordinari), oggi gran parte degli operai Fiat, da 5 anni, passano le loro giornate in pantofole, nel tinello di casa, davanti alla tv, campano con 700 erogati dallo Stato (si chiama «Cassa in deroga»). Il dirigente che ha preso il posto che fu dell’ingegner Gaudenzio Bono dice che quegli operai ancora a busta paga, ma in Cassa, un giorno rientreranno tutti nelle quattro fabbriche di montaggio rimaste (Mirafiori, Cassino, Pomigliano, Melfi), sempre che ci siano clienti interessati alle auto che verranno colà prodotte (sic!).

«Italiana» è parola che in questo momento è bene non usare, si è molto degradata, così «Automobile». Faranno solo più auto di lusso, le chiamano «Premium»: i nuovi modelli Alfa Romeo non ci sono ancora, ma sono state annunciati, quindi, secondo la vulgata oggi di moda, è come se ci fossero. «Torino» poi, non la riconoscerebbe più, sta per diventare una città della cultura (seppur con un pil miserabile). È piena di debiti, appena avranno coperto le buche per le strade, saremo tutti diversamente colti e vivremo, si dice, in una piccola Atene. Lo confessi, Professore, questo finale «colto-sabaudo» non l’avrebbe mai immaginato.

Lei divenne ragioniere studiando di sera, io perito industriale (ramo fonderia), per cui siamo persone legate ai numeri, non alle parole. Le troviamo insopportabili, specie quelle spese quando si parla di business, di politica: poche sono vere, molte ambigue, nella maggioranza false. L’unico riferimento certo è il valore del titolo in borsa. Sul Vertice che ha suonato la mitica campanella, ora possiamo finalmente esprimere il giudizio «numerico» che gli compete: il titolo Fiat nel maggio del 2004 (data di inizio della sua gestione) valeva 5,74 (e aveva un rating normale, quindi Fiat non era fallita, come sostennero loscamente, a posteriori, molti finti esperti), cinque anni dopo, febbraio 2009, 3,54 (Moody’s gli assegnò un rating «spazzatura», i Fondi la vendettero a piene mani, per timore di essere a loro volta declassati: allora sì che poteva dirsi «tecnicamente fallita»). Poi, curiosamente, il primo Presidente nero americano (democrat) decise di salvare (per la terza volta) la Chrysler dal fallimento, e, mentre c’era, pure Fiat Auto, avvalendosi dei quattrini dei contribuenti americani e con la sottomissione forzosa dei sindacati locali (Professore, non se l’abbia a male, ma lei che è stato l’inventore del «Reparto 0», la «Corea» ricorda?, un’operazione simile non l’avrebbe mai fatta, non ne avrebbe avuto lo stomaco).

Iniziò allora, nel 2009, l’entusiasmante cavalcata di Chrysler-Fiat sotto la guida ferma e capace della nuova gestione, che si è conclusa ieri a NY: è giusto che si prenda tutti i riconoscimenti del caso. Vediamo qualche numero. Nel gennaio 2011, avviene la scissione di Fiat Industrial, in quel momento il titolo Fiat (Auto) quota circa 6, poi, in pochi mesi, crolla sotto i 4. Per 18 mesi galleggia intorno a questo valore, quindi nella primavera del 2013 comincia una salita ininterrotta, fino ai 9 del maggio di quest’anno, prima della presentazione del Piano Strategico 2014-18. Fu presentato nell’Auditorium di Auburn Hills, l’edificio più grande d’America dopo il Pentagono, la cerimonia durò 11 ore e 18 minuti. Improvvisamente, il titolo cambia verso, comincia a scendere, giù, giù, fino ai 6,94 (8,76$) dell’ultimo giorno di quotazione, venerdì scorso a Milano. A fronte di 1,25 miliardi di azioni, la capitalizzazione di Fiat del suo ultimo giorno di vita è stata pari a 8,9 miliardi (11,2 miliardi $).

Il titolo FCA ha iniziato ieri la sua nuova vita a New York con una quotazione iniziale di 9,25 $, pari a una capitalizzazione di 11,5 $, per poi ripiegare. Le polemiche, gli scontri sulle filosofie managerial-sindacal-aziendali, i giudizi pro-contro Marchionne, le chiacchiere degli anni passati: tutte cancellate. Nessun colpo di scena: dollaro in luogo di euro, piazza principale NY anziché Milano, prezzo costante, stesse prospettive, è cambiato solo il nome. Gli entusiasti si attendevano fuochi d’artificio, non ci sono stati, è molto probabile che nei prossimi giorni il titolo ricuperi almeno il prezzo di recesso (circa 10$) e punti agli 11,5$ (i 9 del maggio scorso). Auguri di buona fortuna a FCA.

Caro Professor Valletta, facciamoci una rimpatriata, chiedendoci: quando in luogo degli algoritmi c’era il nostro meno preciso «conto della serva», noi che avremmo fatto? Avremmo sommato i tre macro asset che oggi compongono FCA: Chrysler, Ferrari, Fiat Auto (Europa-Brasile). Dieci mesi fa, Chrysler fu valutata, in sede di trattativa con Veba per l’acquisizione del 41,5%, 10 miliardi$. Marchionne, nei giorni scorsi, ha indicato per Ferrari un valore di 5 miliardi $. La valutazione intrinseca di Fiat Auto (Europa e Brasile) sarebbe venuta per differenza rispetto alla capitalizzazione di borsa di 11,2 miliardi $. E qui casca l’asino (io), mi rifiuto di scrivere, per la «mia» Fiat, un numero col segno meno davanti. L’ho sempre pensato che si fosse ridotta a un veicolo di traino-lancio per Chrysler, l’avevo pure scritto, ma rifiutavo di crederci: l’amore prevale sempre sulla cruda realtà. Altra opzione: il Piano quinquennale non convince compiutamente gli investitori? I prossimi mesi capiremo meglio.

Oggi, caro Professore, è uscito il mio ultimo libro «Fiat, una storia d’amore (finita)», disponibile su Amazon, l’ho dedicato a lei, alla Signorina Rubiolo, all’ingegner Giacosa. Troverà la storia degli anni successivi al suo periodo «imperiale», la scelleratezza degli anni ’67-80, la viltà di quelli ’80-’95, la confusione di quelli ’95-’04, l’attesa della fine di quelli ’04-’14. Leggerà di strategie, processi, scelte di persone (spesso imbarazzanti), decisioni incredibili, ci aggiunga questi numeri: l’operazione FCA le sarà più chiara. Comunque lei, per me, sarà sempre un mito.

Riccardo Ruggeri: perché io, ex top manager Fiat, non brindo troppo per la Fiat americana

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