Skip to main content

Giovedì AFP ha diffuso un video che mostra Abubakar Shekau, il leader del gruppo islamista radicale nigeriano Boko Haram. O qualcuno che gli somiglia e si spaccia per lui.

Già, perché al di là dei contenuti del messaggio recitato, la questione gira tutta intorno a chi sia in realtà quell’uomo. Shekau, alla guida del gruppo che sta dilaniando la Nigeria dal 2009 (anno in cui il fondatore Mohammed Yusuf è stato ucciso), era stato dato ufficialmente per morto dall’esercito nigeriano. Secondo i report era stato ucciso durante la Battaglia di Kondunga, in Borno nei pressi di Maiduguri, tra il 12 e il 14 settembre – uno dei pochi successi significatavi riportati dalle forze di Abuja.

Sulla sua morte c’è stato da subito scetticismo: secondo molti era «vivo e vegeto» (citazione del giornalista Ahmad Salkida, che ha ottimi rapporti locali) e la diffusione della notizia da parte dell’esercito, altro non sembrava che pura propaganda.

Ma la Difesa di Abuja, resta ferma sulle proprie posizioni, e nonostante il video diffuso in rete, continua a sostenere che Shekau in realtà sia morto: in una dichiarazione rilasciata dal quartier generale della capitale, il direttore della comunicazione dell’esercito, il maggiore generale Chris Olokulade, ha affermato che nel video non ci sono riferimenti temporali, e dunque potrebbe essere stato girato prima della morte del capo di Boko Haram e pubblicato soltanto per non scoraggiare gli altri combattenti in attesa della sostituzione della leadership.

Non è la prima volta che i nigeriani dichiarano di aver ucciso Shekau, era già successo altre volte – l’ultima nell’agosto del 2013 – e le segnalazioni sulla morte erano sempre state seguite da messaggi di smentita. Anche stavolta sono in molti a pensarla come il corrispondente di BBC Huasa Service, Mansur Liman, secondo il quale quello nelle immagini è proprio il leader di Boko Haram.

«Here I am, alive. I will only die the day Allah takes my breath», le parole di apertura del filmato, in cui, sempre continuando con i toni forti, vengono mostrate sequenze di “vita” nelle aree sotto il controllo dei Boko – che hanno istituito una sorta di Califfato in un’ampia fascia nel nord della Nigeria. Una donna lapidata a morte, un uomo punito con frustrate per adulterio, un ladro a cui viene tagliata una mano, un soldato nigeriano decapitato. Secondo le parole di Shekau, il soldato sarebbe un pilota, catturato dopo l’abbattimento di un aereo militare dell’esercito – per altro, vengono mostrate anche le immagini del relitto, ufficialmente scomparso secondo l’Aviazione il 12 settembre, abbattuto a detta dei ribelli.

Complice la concentrazione sulle vicende legate allo Stato Islamico – e all’intervento militare internazionale – nonché il threat globale “Ebola”, che ultimamente sui principali network americani sta rubando spazio anche al Califfo, la situazione in Nigeria è passata in un piano secondario. Quasi dimenticata: e pensare che l’istintiva campagna mediatica del #BringBackOurGirl, guidata da personalità di alto livello come Michelle Obama, per chiedere la liberazione delle oltre 200 liceali rapite dal gruppo a Chibok, risale a maggio. In quell’occasione una mini-coalizione internazionale, mise tecnologie e uomini a disposizione del governo nigeriano per le ricerche – con il secondo fine, nemmeno troppo celato, di attaccare i ribelli.

Nell’arco di questi mesi, tuttavia, non solo le studentesse (molte minorenni) non sono state ritrovate, ma anzi, la situazione è di fatto peggiorata – e l’impegno internazionale scemato. Boko Haram controlla ampie fette di territorio nigeriano, ha proclamato un Califfato Islamico (per certi versi simile a quello di Baghdadi, anche se le realtà islamiste mediorientali avevano deriso la proclamazione). e sta avanzando contro un esercito molle e corrotto. Situazione in alcuni aspetti simile a quella irachena: l’esercito nigeriano non è in grado di resistere alla furia dei ribelli. Le truppe fuggono, si rifiutano di combattere. Il timore e la propaganda si uniscono: chi fugge è spaventato, cerca “rifugio” alleandosi con i Boko, ma ci sono anche molti elementi che ne condividono le ideologie e si “arruolano” tra le linee dei ribelli per diretta volontà.

Una corte marziale ha iniziato in questi giorni il processo a 97 soldati, di cui 16 ufficiali, che si erano rifiutati di combattere gli insorti; mentre altri 12 sono stati fucilati dal governo due settimane fa, accusati di ammutinamento.

In un paese che esprime tutte le controversie africane – la Nigeria è tra gli stati con più forte crescita economica in Africa (e nel mondo), che si abbina però a condizioni di vita ancora fortemente diseguali tra le varie fasce sociali e geografiche – l’esercito rispecchia in sé, l’endemica corruzione sociale e politica. Da tempo si discute – e alcuni report hanno ricostruito le prove – della possibilità che ci siano finanziatori locali per i Boko Haram, così come ci sarebbe “sostegno” al gruppo tra alcune figure politiche e alti quadri militari.

Ora il rischio, se le forze di sicurezza governative non riusciranno a respingere i Boko Haram, è che un altro Califfato Islamico – forse più crudele di quello siro-iracheno – si imposti stabilmente al centro dell’Africa (disfunzione storica, il doppio califfato, certo). Gli uomini di Shekau hanno avviato prima una campagna razzista nei confronti delle altre religioni, a cominciare dai cristiani, costretti a fuggire dai villaggio settentrionali, per poi concentrarsi sui musulmani moderati, considerati alla stregua degli altri, perché non applicano i principi radicali predicati dai Boko Haram. Migliaia le vittime, per un totale di tre milioni di persone colpite.

E gli attacchi terroristici hanno colpito fino alla capitale Abuja, vista come simbolo dell’occidentalizzazione – si ricorda che “Boko Haram” in lingua Hausa significa “l’educazione occidentale è vietata” – in un paese che è in forte tiro di sviluppo, frutto attuale degli interessi pianificati dall’Occidente.

@danemblog

Vivo o morto Shekau, Boko Haram resta un enorme problema. Dimenticato

Giovedì AFP ha diffuso un video che mostra Abubakar Shekau, il leader del gruppo islamista radicale nigeriano Boko Haram. O qualcuno che gli somiglia e si spaccia per lui. Già, perché al di là dei contenuti del messaggio recitato, la questione gira tutta intorno a chi sia in realtà quell'uomo. Shekau, alla guida del gruppo che sta dilaniando la Nigeria dal…

Tutte le contraddizioni del centrodestra spappolato

Il punto sulla prima contraddizione lo regala a Formiche.net la memoria dell'editorialista Francesco Damato. Il Silvio Berlusconi che oggi accusa Raffaele Fitto di essere “figlio di un vecchio democristiano” è lo stesso Silvio Berlusconi che circa 65 anni fa andava in giro per le strade di Milano a incollare i manifesti della Dc. In un centrodestra mai così spappolato e ingarbugliato,…

Erdogan

La mini svolta della Turchia contro Isis

Con una svolta di 180° (ma forse no) il Parlamento turco ha autorizzato il governo a seguire una politica più attiva in Siria e Iraq. E’ stata così rinnovata, ampliandola all’Iraq, l’autorizzazione a impiegare la forza, decisa nel 2012 e che scadeva sabato 4 ottobre, di impiegare la forza contro la Siria, concessa a seguito dell’abbattimento di un caccia turco…

Paolo Savona, il Sud e i partiti. L'analisi di Federico Pirro

Nel ringraziare il Prof. Paolo Savona per l’attenzione prestata a qualche mio intervento su questa testata con cui ho voluto richiamare l’attenzione sui molti e persistenti punti di forza dell’industria nel Sud - pur in una situazione di forti e crescenti difficoltà socioeconomiche dei suoi territori - ritengo meritevole di grande attenzione la sua recente proposta di creare un movimento…

Rileggiamo Keynes e Kuhn per tornare a crescere. L'analisi di Ajassa

Oltre a Keynes bisognerebbe rileggersi Kuhn. Dopo sette anni di crisi ciò che appare evidente in Italia e anche in Europa non è solo un problema economico di crescita. C’è qualcosa di più. Nelle letture più attente ciò che si delinea sono le ripercussioni di onde più profonde. Le onde lunghe del mutamento di due paradigmi fondamentali che si chiamano…

“Prima di tutto Italiani”, il mensile che dà voce agli Italiani all’estero

Non sarà un’agenzia di stampa o un elenco di notizie e manifestazioni, ma incarnerà un esperimento diverso. Dare voce agli Italiani che vivono all’estero innescando dibattiti, confronti e proposte per unire ciò che la geografia divide, grazie al comune denominatore dell’italianità. E’ “Prima di tutto ITALIANI”, un nuovo progetto culturale ideato dal Comitato Tricolore per gli Italiani nel Mondo che…

Vi spiego perché il Def di Renzi e Padoan è troppo ottimista sul debito pubblico

L’aggiornamento del Def per il 2014 segna una svolta inattesa: si fa finalmente chiarezza sugli errori di previsione contenuti in modo sistematico e generalizzato nei modelli econometrici utilizzati dai governi e dalle istituzioni internazionali. Sappiamo finalmente perché il debito pubblico italiano è tornato a crescere di 15 punti percentuali tra il 2009 ed il 2013, passando dal 112,5% del Pil…

Ecco come rilanciare il Pil. La proposta di Ettore Gotti Tedeschi

Per gentile concessione dell'autore, pubblichiamo l'intervento di Ettore Gotti Tedeschi pubblicato su Il Foglio L’economia occidentale, Usa ed Europa, (in modo diverso secondo i vantaggi competitivi), non cresce perché per più di trent’anni abbiamo sviluppato un modello di crescita del Pil consumistico, sacrificante il risparmio e sempre più a debito, tendente a crescere i consumi individuali per compensare le conseguenze…

sindacati

Quando Cgil, Cisl e Uil dicevano sì alla modifica dell’articolo 18

Pur in tempo di crisi e di disoccupazione il nostro mercato del lavoro mostra una sua vitalità. In Lombardia dal 2009 fino al 2012 gli avviamenti sono sempre stati superiori a 1.720.000 mila unità mentre le cessazioni hanno raggiunto il picco di 1.905.000 nel 2011. Nel secondo trimestre 2013 a fronte di 413.127 assunzioni hanno corrisposto 443.418 cessazioni con un…

Vi racconto passi e sfide dell'Egitto di Al Sisi

Cosa accade nell'Egitto del generale Abdel Fattah Al Sisi? A raccontarlo in una conversazione con Formiche.net è Shahira Mehrez, ricercatrice, ex docente di Arte e di Architettura islamica presso l’Università americana del Cairo e di Helwan, stilista e filantropa che da alcuni anni si occupa anche del ruolo delle donne in politica. Dopo le tensioni degli ultimi anni, l'Egitto si sta…

×

Iscriviti alla newsletter