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Il ritorno a casa del sergente Bowe Bergdahl, il militare americano liberato una quindicina di giorni fa dall’Afghanistan, è passato quasi in secondo piano: davanti, ovviamente, la drammatica situazione irachena, grana che gli Stati Uniti non possono ignorare (giovedì Obama aveva detto di valutare qualsiasi opzione, oggi ha frenato, smentendo la possibilità d’intervento militare diretto senza che Baghdad presenti prima un piano politico per far fronte alla crisi, ma la situazione è talmente critica che tutto può cambiare in fretta).

Partito giovedì dall’ospedale tedesco di Landstuhl, Bergdahl è arrivato questa mattina presto all’aeroporto di San Antonio, Texas, per essere ricoverato al centro d’élite Brooke Army Medical per la fase di reinserimento e debriefing (definita “Fase III”) del suo percorso riabilitativo.

Intanto emergono nuovi particolari. Il Daily Beast è entrato in possesso di alcune lettere che il soldato aveva scritto alla sua famiglia, in cui si raccontava: la vita quotidiana, le preghiere per i famigliari, l’insoddisfazione. I documenti sono stati ottenuti da fonti vicine ai talebani, e sarebbero stati riconosciuti come autentici – alcuni funzionari americani anonimi (i commenti ufficiali non sono arrivati né dal Pentagono né dalla famiglia), hanno detto che si tratta delle stesse lettere che i rapitori avevano consegnato alla famiglia, tramite la mediazione delle Croce Rossa internazionale.

Quello che emerge nelle missive datate 2012 e 2013, in parte era già noto dai racconti dei compagni di unità (e da alcune indiscrezioni filtrate dal Washington Post, su un diario che Bowe aveva scritto e che aveva inviato ad un certo Kim Harrison, amico di lunga data, poco prima di essere rapito).

Tra discorsi filosofici, che spesso prendono la via spirituale e religiosa, il sorgente racconta della sua prigionia, ma soprattutto dà notizie sul suo abbandono. Era frustato, si capisce: non riconosceva il valore della leadership interna al suo platoon, avrebbe voluto più azione per portare a compimento la sua missione, si lamentava delle condizioni pessime dell’accampamento (in effetti l’Avamposto Mest non dev’essere stato un “cinque stelle”).

Nella lettera del 2013, Bergdahl sembra anche avere consapevolezza che l’esercito potesse aprire un’inchiesta sulla sua “assenza senza permesso”: tanto che chiede alla sua famiglia e al governo degli Stati Uniti, di valutare tutte le prove, prima di esprimere un giudizio.

Di frustrazione e di desiderio di cambiare lo status quo, il sergente ne aveva parlato anche in alcuni post su Facebook, scritti dalla base afghana prima del rapimento. Bergdahl aveva aperto il profilo con lo pseudonimo “Wandering Monk” (il riferimento va ai monaci erranti indiani parivrajaka, chissà? D’altronde Bowe aveva detto più volte ai compagni di reparto di voler raggiungere l’India a piedi). Nell’ultimo post scritto, che risale al 22 maggio 2009 (pochi giorni prima che lo prendessero i talebani), racconta le vicissitudini di una missione di perlustrazione sulle alture intorno alla base; missione che sarebbe dovuta durare solo qualche ore e che invece, causa fuoco nemico, si è prolungata per giorni – e insieme, contesta quelli che secondo lui sarebbero stati gli errori dei comandanti, responsabili della situazione che s’era creata.

La pagina è stata scovata da Associated Press: Bergdahl a quanto pare combatteva due guerre, una fatta di proiettili, polvere e nemici, l’altra in cui l’unico nemico era sé stesso. I post di Facebook riprendono diversi passaggi del diario inviato a Harrison, o viceversa. Gli amici erano preoccupati per la sua salute emotiva, mentre lui lottava per mantenere la stabilità mentale.

Secondo il WaPo, si può trattare di questioni pregresse: nel 2006 fu congedato dalla Guardia Costiera per un “uncharacterized discharge” – Harrison, l’amico, ha confermato che si trattava di ragioni psicologiche. Due anni dopo c’era la guerra in Afghanistan e in Iraq: non sarebbe il primo Bergdahl, ad essere stato arruolato passando sopra a “condizioni” pregresse. C’era bisogno di uomini.

@danemblog

 

 

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