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Esiste nell’Europa di oggi la possibilità di vincere le strategie di austerità che hanno consacrato l’egemonia tedesca nel terreno economico e politico?

L’interrogativo ha costituito il cuore della presentazione, presso la sede nazionale della Confederazione italiana agricoltori, del libro “Quarto Reich. Come la Germania ha sottomesso l’Europa” scritto da Vittorio Feltri e Gennaro Sangiuliano.

Un’analisi storica del primato di Berlino

Il confronto, moderato dal giornalista parlamentare Rai e fondatore dell’associazione Lettera 22 Paolo Corsini, è andato al di là del ragionamento sulla legittimità del Fiscal Compact, il ruolo della BCE, l’atteggiamento di Bruxelles rispetto agli Stati membri dell’Euro-zona. E ha consentito di comprendere le ragioni storiche del “primato” continentale assunto nel corso degli ultimi anni da Berlino.

Un’antica propensione

Centralità che per il parlamentare di Forza Italia Maurizio Gasparri è frutto di un’atavica volontà di potenza espressa dalle “terre germaniche” fin dall’epoca delle invasioni barbariche.

La differenza rispetto al passato, spiega l’esponente “azzurro”, è nell’aver scaricato e canalizzato sul pieno economico l’attitudine all’egemonia continentale: “Una tendenza promossa da Helmut Kohl, artefice dell’unificazione tedesca, e portata a compimento da Angela Merkel con la piena condivisione programmatica da parte della SPD”.

Egemonia priva di responsabilità internazionali

A giudizio del vice-presidente del Senato la Germania è riuscita a costruire un’area di influenza conglobando i Paesi europei ex comunisti. E ha saputo imporre linee strategiche e persone fidate nei ruoli chiave delle istituzioni europee e italiane. Come accaduto con Mario Monti, con esiti fallimentari per il nostro paese.

“Tutto ciò senza mai assumere responsabilità gravose quali la partecipazione alle missioni militari internazionali nei teatri di crisi”.

Le radici dell’exploit tedesco

Lo straordinario progresso realizzato oltre il Brennero negli ultimi 10 anni può essere compreso soltanto nella cornice di un’unione politica, economica e monetaria che non ha risposto alle originarie promesse: aumento del PIL del 5 per cento e crescita delle persone occupate pari a 2 milioni annui.

È la lettura fornita dal professore di Storia dell’economia e dell’impresa nell’Università Luiss “Guido Carli” Giuseppe Di Taranto, per il quale “il miracolo tedesco” e il crollo produttivo delle nazioni dell’Europa mediterranea non è avvenuto per caso bensì in modo scientifico.

A partire dal cambio alla pari (1 a 1) tra marco ed euro. Rapporto senza il quale l’ex valuta germanica si sarebbe rivalutata del 40 per cento rendendo impensabile il boom delle esportazioni registrato negli anni. Grazie a questo fattore, e al superamento della facoltà di svalutazione monetaria nazionale degli altri paesi, Berlino è saluta sul piedistallo creando un surplus del 7 per cento nella bilancia commerciale.

Un affare colossale

Nello scenario di un’area monetaria unica e in presenza di una Banca centrale europea che non può intervenire stampando valuta, le realtà più vulnerabili e con un forte passivo di bilancio sono precipitate nella crisi, costrette a emettere titoli di Stato puntualmente rivenduti alla banche tedesche. Titoli che, rimarca lo studioso, hanno fruttato a partire dal 2003 ben 40 miliardi di euro alla Germania.

Un’élite anti-democratica

Una simile operazione, rileva l’economista, è stata convalidata da un governo europeo molto somigliante all’élite teorizzata nel libro di Mario Monti e Sylvie Goulard “Democrazia in Europa. Guardare lontano”: “Vertice che compie le scelte strategiche al posto delle democrazie, esautorando sempre più la sovranità nazionale liquidata come espressione di populismo”.

Come salvarsi?

Le possibili vie di uscite passano innanzitutto per una BCE investita di una missione più ampia rispetto a quella di guardiano dell’inflazione. Ma la Germania non vuole trasformarla in prestatrice di ultima istanza.

A questo punto, ricorda il docente universitario, esiste una chiara strada alternativa. Scritta nel Trattato di Lisbona, che prevede la facoltà per ogni paese di aderire all’Unione Europea restando fuori dall’Euro-zona”.

Ritornare all’Europa di De Gaulle

Ue e Unione monetaria. Costruzioni “piramidali e gerarchiche, modellate sulla volontà di potenza tedesca e non certo collegiali e paritarie” agli occhi di Gennaro Sangiuliano. Il quale, riconoscendo ad Angela Merkel il merito e la capacità di manovrare in tal senso tutti i leader continentali compreso Matteo Renzi, parla di un’Unione Europea fondata su “istituzioni burocratiche, metalliche, meccaniche”.

A suo avviso la risposta a una deriva che tende a rimuovere la sovranità decisionale dei cittadini sul loro futuro risiede nel ritorno all’Europa delle nazioni caldeggiata da Charles De Gaulle.

Nozione – osserva il vice-direttore del Tg1 – cui si richiamano oggi, in modo singolare e emblematico, gli stessi militanti del Front National di Marine Le Pen. Che amano appellarsi “maquis”, l’appellativo utilizzato dai partigiani anti-nazisti nel corso della Resistenza francese.

Una classe dirigente “collaborazionista”

Il giornalista studioso del pensiero e dei movimenti politici conservatori resta nell’universo semantico resistenziale per rispondere a un interrogativo cruciale.

Perché in Italia non è stata realizzata una critica seria e rigorosa nei confronti di una costruzione monetaria che ha fatto registrare performance fallimentari nel terreno produttivo e sociale? Dopo che per decenni il nostro paese ha raggiunto risultati di eccellenza mondiale nell’aerospazio, nelle tecnologie informatiche, nella chimica, superando di gran lunga la stessa Germania?

La responsabilità di tale carenza – evidenzia Sangiuliano – deve essere attribuita a “un ceto dirigente nazionale collaborazionista con Berlino”. Grazie ad esso “l’Italia ha contribuito per 53 miliardi di euro al Fondo salva-Stati. Strumento che non ha salvato la Grecia o il Portogallo, ma le banche tedesche creditrici verso quei paesi per ragioni speculative”.

Gennaro Sangiuliano e Vittorio Feltri

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