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“Alla luce degli sviluppi sulla questione del rilascio dei nostri ostaggi, il primo ministro Benjamin Netanyahu convocherà questa sera (martedì 21 novembre 2023) il Gabinetto di Guerra alle ore 18:00, il Gabinetto di Sicurezza alle ore 19:00 e il Governo alle ore 20:00”. La comunicazione  del governo israeliano annuncia che qualcosa di importante sta per avvenire. Uno scambio di ostaggi che potrebbe avviare una nuova fase della crisi a Gaza, mentre gli Stati Uniti pressano per una de-escalation pro-israeliana e la Cina invoca una conferenza di pace internazionale.

Tra diplomazia e disinformazione

Una campagna di influenza globale che utilizza siti web falsi mascherati da agenzie di stampa rispettabili ha rinnovato i suoi sforzi di disinformazione nelle ultime settimane, pubblicando una serie di rapporti falsificati sulla guerra tra Israele e Hamas, secondo i materiali visti da Haaretz e raccolti dai ricercatori anti-disinformazione. C’è probabilmente l’infowar russa dietro alle deep fake. Tra queste, alcune delle informazioni manipolate (anche grazie all’AI) riguardavano gli ostaggi: è naturale, visto il peso che hanno – sull’opinione pubblica israeliana e sul contesto internazionale – quelle oltre 200 persone catturate da Hamas nell’orribile crimine del 7 ottobre.

Anche per questo, il procedere delle trattative ha un significato profondo. C’è un accordo in costruzione da tempo che ormai ha ottenuto solidità. Una trattativa negoziata dal Qatar, che per anni ha provveduto al finanziamento della Striscia e ha dato ospitalità protetta ai leader politici di Hamas, e dagli Stati Uniti, che tramite la liberazione degli ostaggi cercano un doppio risultato. Il primo, evitare che eventuali esecuzioni pubbliche degli ostaggi diventino un problema elettorale, con Joe Biden che potrebbe soffrire il peso di non aver fatto abbastanza (anche considerando una porzione di elettorato giovane, democratico che non sta apprezzando la linea dell’amministrazione sulla crisi). Per chiarire: tra i rapiti ci sono diversi americani. Il secondo è un’ambizione di poter partire da questo scambio per aprire a qualcosa di più ampio in ottica de-escalation.

Biden è stato coinvolto personalmente in questo sforzo, esortando l’emiro del Qatar — Paese alleato, sede della base avanzata del comando regionale del Pentagono — in due telefonate la scorsa settimana a fare pressione su Hamas affinché accetti l’accordo e chiamando il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, per incoraggiarlo ad accettare. Lunedì Biden ha dichiarato di ritenere che un accordo sia vicino.

Tutto pronto per l’accordo

La mediazione tra Israele e Hamas per la liberazione di decine di ostaggi e la dichiarazione di un pausa dei combattimenti di più giorni potrebbe ottenere esito positivo già nelle prossime ore. “Le sfide che l’accordo deve affrontare sono solo pratiche e logistiche”, ha detto il primo ministro del Qatar, lo sceicco Mohammed Bin Abdulrahman al-Thani, in una conferenza stampa a Doha, insieme all’Hr/Vp Josep Borrell. Borrell era a Doha insieme al rappresentante speciale dell’Unione Europea per il Golfo, Luigi Di Maio. I due hanno avuto colloqui sulla crisi militare e soprattutto sulla questione degli ostaggi. Potrebbe essere stato il passaggio definitivo, con l’Ue che ha fornito garanzie di assistenza umanitaria a Gaza e contemporaneamente condanna contro Hamas e supporto a Israele.

Se l’accordo si concretizzerà, sarà la più grande svolta diplomatica dall’attacco di Hamas del 7 ottobre. Per quanto noto, nell’ambito dell’intesa Israele rilascerebbe tre prigionieri palestinesi detenuti per ogni ostaggio israeliano rilasciato da Hamas. Nella prima fase dell’accordo, Hamas dovrebbe rilasciare 50 donne e bambini israeliani detenuti a Gaza, mentre Israele dovrebbe rilasciare circa 150 prigionieri palestinesi, soprattutto donne e minori.

Tutto avverrebbe in quattro giorni di cessate il fuoco a Gaza, hanno dichiarato delle fonti ad Axios. Come parte dell’accordo, Israele permetterebbe anche a circa 300 camion di aiuti al giorno di entrare a Gaza dall’Egitto. In una seconda fase, Hamas potrebbe rilasciare fino ad altri 50 ostaggi israeliani — donne, bambini e anziani — in cambio di un prolungamento del cessate il fuoco di altri giorni. Anche in questo caso, Israele rilascerebbe i prigionieri palestinesi nello stesso rapporto di 3:1 rispetto al numero di ostaggi liberati.

Il valore tattico-strategico degli ostaggi

Un documento di pianificazione di Hamas — trovato dai soccorritori israeliani in un villaggio attaccato — mostra che i terroristi erano organizzati in unità ben definite con obiettivi e piani di battaglia chiari. Alcune unità avevano istruzioni specifiche per catturare israeliani da usare come merce di scambio in futuri scambi di prigionieri.

Dopo aver catturato l’ospedale di Al Shifa, nel nord della Striscia di Gaza, il 19 novembre l’esercito israeliano ha diffuso dei video trovati lì che mostravano due ostaggi — un thailandese e un nepalese — mentre venivano portati all’intern per essere visitati. Secondo Israele, la struttura era utilizzata da Hamas come centro di comando militare, un’accusa che il gruppo militante nega.

Come sono state risolte le crisi degli ostaggi in passato?

La questione degli israeliani rapiti è profondamente emotiva in Israele. L’effetto psicosociale dell’attacco è stato implementato dalle immagini di quelle persone che venivano brutalmente strappate dalle loro normalità. È stata l’implementazione di una paura nota, recondita. Per esempio, nel 2006, i militanti di Gaza sequestrarono un soldato israeliano, Gilad Shalit, e Hamas lo trattenne per cinque anni. Fu scambiato con più di 1.000 prigionieri palestinesi, molti dei quali condannati per attacchi mortali contro gli israeliani. Hamas detiene anche i resti di due soldati israeliani uccisi in una guerra del 2014 e di due civili israeliani entrati a Gaza quello stesso anno.

La guerra di un mese del 2006 di Israele contro Hezbollah, l’organizzazione militante sciita libanese, è iniziata con un raid transfrontaliero di Hezbollah e il rapimento di due soldati israeliani. I resti dei soldati sono stati restituiti a Israele nel 2008 nell’ambito di uno scambio di prigionieri in cui Israele ha consegnato cinque prigionieri libanesi, tra cui Samir Kuntar, detenuto da quasi tre decenni dopo essere stato condannato in relazione a un noto attentato.

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