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Una nuova Nato dopo l’Ucraina?
A chiederselo cominciano ad essere in molti, anche in Italia. Con opinioni, spesso, discordanti.

LA NATURA DELLA MINACCIA
Ieri a Roma l’incontro patrocinato dall’Istituto Gino Germani di scienze sociali e dall’International center for defense studies di Tallinn ha messo in mostra diverse sfumature interpretative. Che poi non sono solo “sfumature”, riferendosi piuttosto al diritto o meno della Russia a perseguire propri interessi in quello che è il suo vicino estero, ovvero la sfera di influenza più direttamente attribuibile a Mosca per motivi storici e geografici. Qui c’è già una divisione sulla portata della vicenda della Crimea. Analisti di parte anglosassone tendono a vedervi una riedizione dell’Anschluss, ovvero una rottura fondamentale dell’ordine legale internazionale, senza precedenti dalla fine della Seconda guerra mondiale. Per gli strateghi più legati all’ambito italiano, il punto di riferimento è semmai il decennio di guerre balcaniche negli anni Novanta, dove si registrarono i primi “land grab” da Yalta in poi.

RUSSIA’S BACK. PER FARE COSA?
Il titolo dell’ultimo numero di The National Interest è rieccheggiato tra le pareti della Link University. Ma il ritorno della Russia va però considerato sulla base di elementi realistici di potenza o come preludio ad un confronto ideologico di vasta portata? Proprio sulla rivista pubblicata dal Center for National interest il direttore del think tank Dimitri K. Simes ha affermato che il primo “land grab” post-1945 è stata la “rimozione del Kosovo da una Serbia democratica, nonostante una risoluzione (contraria, ndr) del Consiglio di Sicurezza dell’Onu e otto ani di protettorato Nato che assicuravano i kosovari da ogni tipo di minaccia umanitaria”. Di più, Simes riconosce apertamente che ciò che è avvenuto a Kiev non è frutto delle procedure democratiche ma un regime change che “amplia in modo aggressivo la sfera di influenza occidentale all’area più importante” per la Russia sotto il profilo economico-strategico e storico-emotivo.

UN BAGNO DI REALISMO
E’ proprio il riconoscimento del carattere di reazione russa al successo dell’iniziativa euro-americana con l’ingresso dell’Ucraina nella sfera di influenza tedesco-americana che è assente in alcuni circoli anglosassoni che considerano Mosca come già parte integrante di un’alleanza russo-cinese estesa agli Stati sudamericani insoddisfatti del cosiddetto ordine liberale. Accenti simili si trovano nei recenti editoriali del Financial Times e dell’Economist, tutti tesi a dimostrare il carattere ideologico-missionario della sfida (vissuta come un affronto) portata da Putin. Il tutto senza considerare che le punte più avvedute della riflessione strategica Usa hanno già superato di slancio e archiviato l’ordine post-1991, per di più senza la necessità moralistica di dichiararlo migliore o peggiore di quello che si delinea.

GUERRA IBRIDA E ARTICOLO 5
E’ sul piano tecnico, del modo con cui si conducono le guerre ibride odierne (combinazione di interventi informativi, sovversivi, psicologici, con l’uso di mercenari e di forze speciali) che Ucraina e Crimea rappresentano tavoli di confronto importanti per il meccanismo Nato. Il dispositivo dell’articolo 5 è insufficiente, si è detto, per tutelare chi subisce aggressioni indirette, non classificabili come attacco classico. Per esempio, un attacco speculativo alla finanza e alle banche di un Paese, per il quale pochi alleati potrebbero essere motivati ad intervenire. Un articolo 5 dunque che rischia di esporre le differenze e le divisioni in seno Nato, e incoraggiare l’aggressore occulto a trarne il massimo vantaggio politico.

IL RITORNO DELL’EURASIA
Nel complesso l’evento ha dimostrato tangibilmente la tenuta dell’alleanza di fatto Berlino-Washington, messe da parte temporaneamente alcune amarezze legate al caso Snowden e alla sua timida manipolazione in funzione anti-Usa a Berlino. Di più, ha sottolineato il ritorno delle variabili classiche della competizione geopolitica, inserendosi in un dibattito che per esempio su Foreign Affairs ha visto recentemente contrapporsi Walter Russell Mead, pronto a scommettere sull’ascesa di un’asse revisionista anti-occidentale Russia-Cina-Iran e John Ikenberry che denuncia le “Illusioni geopolitiche” affermando che continuano a prevalere nella sfera internazionali i temi globali “orizzontali” (dal clima all’ambiente, dal disarmo alla democrazia di mercato) dalla cui gestione traggono vantaggi strategici anche gli ipotetici, e riluttanti, “revisionisti. Russia inclusa.

OCCIDENTE-RUSSIA E TRIANGOLO TEHERAN-DAMASCO-KIEV
E’ in questo contesto che torna alla ribalta il Medio Oriente, come parte di un’Eurasia che ha nell’Ucraina il perno e nell’Iran e nel Golfo la porta di accesso, la ramificazione meridionale. L’apertura di Teheran a Washington rappresenta il corrispettivo meridionale del grande gelo nelle relazioni Ue-Russia, due successi della politica di Obama che appartengono all’armamentario classico della geopolitica eurasiatica statunitense. La conseguenza implicita, appena delineata in questi mesi, è l’ingresso dell’Iran sul mercato del gas in concorrenza con Mosca, indebolendo sia sul fronte strategico caucasico che su quello economico (mercato centro-europeo e tedesco in particolare) i colossi statali russi che costituiscono il cerchio interno del regime di Putin.

I VERO GAME CHANGER
E’ questo il vero game changer che incide anche sullo scenario ucraino, accentuando le preoccupazioni strategico-energetiche di Mosca e accelerando le sue reazioni. Un altro punto da sottolineare, a margine di un evento comunque ricco di spunti interessanti, è rappresentato allora anche dal “nervosismo” strategico britannico, che si riflette tanto negli editoriali quanto nelle oscillazioni a Bruxelles della linea Cameron. In questo caso è proprio The National Interest che si incarica di sottolineare, riflettendo le parole dell’ex segretario generale della Nato Lord Robertson, come la “perdita della Scozia” dopo il referendum di settembre indebolirebbe la filiera nucleare (il deterrente ancorato nelle basi nordiche) e porterebbe alle dimissioni di Cameron. Una Londra fragile e nervosa accentua infatti le oscillazioni americane e spinge Berlino a svolgere un ruolo più forte a fianco di Washington anche nella partita con Mosca.

I PARTECIPANTI ALL’EVENTO
Hanno partecipato alla discussione Giovanni Brauzzi, vicedirettore generale della Farnesina, Matthew Bryza, direttore dell’International center for defense studies di Tallinn, Germano Dottori (Luiss, Nomisma, Limes), Stefano Stefanini (ambasciatore), Keir Giles, direttore del Centro di ricerca per gli studi sui conflitti di Oxford, Etienne De Durand (Ifri) e Alessandro Marrone (Iai).

Anche in Italia si studiano le lezioni del dopo-Crimea

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