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Un nuovo appello affinché la comunità internazionale intervenga in Libia. Questa volta però non viene da un giornale, una rivista, una associazione o da politici di altri Paesi. La richiesta intervento dell’Onu e della comunità internazionale per proteggere i civili è contenuta in una risoluzione votata e approvata dal Parlamento libico appena insediato.

A Tripoli gli osservatori ed i giornalisti esteri presenti per la verità hanno accolto questa novità con non poco scetticismo e non per sfiducia del nuovo organo elettivo bensì per la cronica ormai constatazione dell’inerzia dell’Nazioni Unite e dei singoli Stati. L’inviato speciale di Ban Ki Moon e della Ashton, Bernardino Leon, è chiamato nelle prossime a dare sostanza al suo ruolo.

Nel frattempo, l’Italia – che ha mantenuto aperta la sua ambasciata e che presiede il semestre europeo – potrebbe prendere posizione formale per sostenere la richiesta di aiuto formulata dal Parlamento libico. Quest’ultimo sta lavorando intensamente nello sforzo di democracy building concludendo la fase di transizione e confusione che è prevalsa negli ultimi mesi. Nella giornata di ieri, con 141 voti a favore, 2 astensioni ed uno solo contrario, la Camera ha approvato l’elezione diretta del prossimo Presidente. Le regole previste possono non essere da manuale costituzionale ma intanto ci sono e rappresentano una base.

Secondo quanto riportato dal giornalista Mohamed Eljarth, le condizioni per poter essere candidati alle presidenziali consisterebbero in: 1) essere libico musulmano, nato da entrambi i genitori libici; 2) avere unicamente nazionalità libica; 3) non essere sposato con una persona non libica; 4) non essere più giovane di 40 anni compiuti al momento della candidatura; 5) deve rendere nota la sua dichiarazione fiscale; 6) la sua candidatura deve essere sottoscritta da almeno 5mila cittadini libici. Insomma, pur nelle difficoltà obiettive e con la precarietà che deriva da una strisciante guerra di fazioni (e interessi esteri), il nuovo Parlamento libico sta muovendosi operosamente per ricostruire le isituzioni di un Paese che per alcuni decenni sia era appoggiato sulla leadership del colonnello Gheddafi e che dopo la sua morte è stato di fatto abbandonato dalla comunità internazionale. Ora bisogna intervenire, come richiesto. Sapendo che nel frattempo la situazione sul campo, anche a Tripoli, non migliora.

Nelle ultime ore, segnala l’agenzia Mena, si registrano nuovi violenti combattimenti tra milizie rivali all’aeroporto di Tripoli. Secondo testimoni ci sarebbero vittime e danni ingenti, causati dal lancio di missili Grad nell’aerea, da dove molte famiglie stanno fuggendo. Nella giornata di ieri invece uomini armati e incappucciati hanno ucciso il capo della sicurezza della capitale libica. Il colonnello stava tornando in auto verso il centro della capitale dopo aver partecipato a una riunione al Consiglio municipale di Tajura, nella periferia est di Tripoli.

Dal novembre 2011 ad oggi non si contano i morti e gli episodi di violenza. La differenza da allora è che da una settimana è insediato un Parlamento eletto democraticamente e che questo ha, ripetiamo volutamente, richiesto l’intervento delle Nazioni Unite e della comunità internazionale per proteggere i propri cittadini.

Aspettare oltre è ormai una responsabilità che sta fuori dai confini della Libia.

Tripoli

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