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«Nonostante la crisi ucraina, non dimentico i sacrifici russi». Così giovedì il presidente francese Hollande aveva praticamente invitato l’omologo russo Putin, alle cerimonie per i 70 anni dal D-Day – in programma per il 6 giugno, data dello Sbarco alleato in Normandia.

Putin, con ogni probabilità, parteciperà: confermando da un lato di non temere UE e Occidente, dall’altro tutte le incoerenze che queste due realtà – sovrapposte? – si portano appresso: e di conseguenza la difficoltà dell’azione unitaria. (Per capirci, la vicenda è un altro paradigma della difficoltà che Obama incontra nel tessere la trama contro il potenziale “nemico” – detto con tutto il peso del caso -, con uno dei suo alleati che invita quel “nemico” a festeggiare in casa propria?).

L’eccezionalismo francese, si dirà. Forse, anche. Perché dimenticata la Guerra di Crimea – quella dell’800 – dove i russi si trovarono le truppe dell’Impero tra le spiagge del Mar Nero, e tralasciando l’atteggiamento ambiguo con cui Sarkozy ha affrontato la vicenda georgiana – evitando di insistere troppo sul mantenimento dell’integrità territoriale di Tblisi sotto attacco putiniano – c’è dell’altro e più recente.

Non è un segreto: la Francia ha concluso il primo vero e proprio accordo militare dopo la Seconda Guerra Mondiale tra l’Occidente e la Russia nel 2010, accordandosi con Mosca per la vendita di due navi da guerra. Si tratta delle classi Mistral – navi d’assalto anfibie, portaelicotteri – “Vladivostok”, che dovrebbe essere consegnata in ottobre, e la “Sebastopol”, che nel 2015 dovrebbe finire per rinfoltire le forze della Flotta del Mar Nero.

Girano 1,6 miliardi di dollari: costruite dal subappaltatore francese STX presso i cantieri navali di Saint-Nazaire in Bretagna, sulla base di un progetto del prime contractor DCNS – circa il 20 per cento del lavoro, è però appannaggio del partner russo OSK -, sono ormai in fase di ultimazione.

I primi di aprile di quest’anno, il segretario generale della Nato Rasmussen aveva definito la vicenda una «decisione nazionale», esprimendo la volontà di non interferire nell’affare. Adesso invece, arrivano forzature e pressioni, soprattutto dagli Stati Uniti – e soprattutto in vista di un’azione di bisturi sulle sanzioni, mirate ai settori hi-tech, laddove la Russia ha maggiori necessità d’importazioni.

È stata Victoria Nulanda – l’assistant secretary del segretario di Stato Kerry, balzata alla ribalta della cronaca per quel “fuck” all’Europa sulla gestione della crisi in Ucraina – a chiedere un passo indietro alla Francia. «Un messaggio chiaro» quello di non vendere le navi, che invierà un segnale forte a Putin: «che non gli sarà più permesso di calpestare i diritti dei suoi vicini», ha incalzato il deputato democratico Eliot Engel, durante una seduta sull’argomento alla Commissione Affari Esteri della Camera.

I francesi fanno orecchie da mercante – è il caso di dirlo. Stupiti negano ogni pressione e garantiscono che le tecnologie di cui le due navi sono dotate, non favoriranno troppo i russi – affermazione opinabile di certo. Mentre il ministro della Difesa francese Jean-Yves Le Drian, che tra i cantieri navali della Bretagna ha il suo collegio elettorale, ha fatto sapere che la decisione definitiva sarà rimandata a ottobre – il mese della firma del contratto.

Attende sviluppi della crisi – che. si diceva, sarà sempre più difficile da risolvere, visti il continuo sommarsi degli interessi in campo.

@danemblog

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