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Con il recente avvio delle attività dell’Autorità di Regolazione dei Trasporti, si accendono finalmente i riflettori sui temi regolatori relativi sì ai trasporti, ma anche agli impatti su infrastrutture e consumatori. E proprio gli approcci regolatori nel settore autostradale sono l’oggetto di una recente ricerca condotta su 21 paesi dal Laboratorio di Politica dei Trasporti (TRASPOL) del Politecnico di Milano, in collaborazione con lo Special Interest Group sulla regolazione dei trasporti della WCTRS (World Conference on Transport Research Society), da cui è uscito un quadro di estrema disomogeneità e contraddittorietà.

Una prima differenza interessante riguarda l’esistenza o meno di pedaggi. Oltre la metà della rete mondiale analizzata è gratuita, forte del peso di paesi come gli USA e di quasi metà della rete cinese. Anche lo strumento della concessione – e in generale della partnership pubblico-privata – è distribuito in modo molto disomogeneo. In molti paesi la quasi totalità della rete è costruita e gestita da enti, società o agenzie pubbliche e questo anche e soprattutto in paesi anglosassoni di impostazione liberale (USA, UK, ecc.) – probabilmente dovuta al fatto che in essi la motorizzazione di massa si è sviluppata prima – oltre a paesi di grande tradizione pianificatoria statale (Germania, Svezia). I

n altre realtà, come l’Italia, il Portogallo, la Francia, ma anche molti paesi emergenti (Brasile, Cina, etc.) l’istituto della concessione è usato in maniera preponderante, sebbene con forme molto diverse. I paesi in via di sviluppo più grandi hanno invece impostato le loro recenti strategie di infrastrutturazione su schemi misti, con l’applicazione di meccanismi interessanti come in Cina, dove le autostrade vengono costruite con denaro pubblico e vengono poi quotate in borsa, una volta che il traffico diventa stabile. Molto interessanti, infine, le esperienze dei paesi dell’America Latina, forti di un’impostazione rigorosamente tecnocratica nel settore, che hanno costruito meccanismi regolatori molto sofisticati, tali da rappresentare anche casi di successo (come il Cile).

Per quanto riguarda la durata delle concessioni, si passa dai meno di 20 anni della Cina, a concessioni perpetue o quasi, come alcuni casi minori in Canada o USA, mentre altri aspetti con risultati molto diversi sono la tipologia di pedaggio (chilometrico, vignette, per tratta), i meccanismi competitivi o negoziali con cui vengono assegnate le concessioni (non infrequente l’affidamento diretto senza gara), la pre-definizione delle regole di formazione dei pedaggi (price cap, contrattualizzazione, etc.), il livello di copertura dei costi con i pedaggi e l’esistenza di contributi pubblici o meno. Infine, si è affrontato quello che è risultato il fattore chiave, ad oggi ancora poco esplicitato in quasi tutti i paesi del mondo: il meccanismo di suddivisione dei rischi tra concedente e concessionario.

Tutti questi aspetti risultano fondamentali per esprimere un giudizio di efficacia degli schemi regolatori, non essendo definibile a priori uno schema “migliore”. Tuttavia l’analisi conferma come, però, “il diavolo è nei dettagli”. Ad esempio, casi apparentemente virtuosi di affidamento con gara di concessioni possono tradursi, in assenza di uno schema di regolazione delle tariffe, in cartolarizzazioni piuttosto svantaggiose per il consumatore, che si trova a dover pagare una tariffa ad un monopolio naturale privato non regolato, utile solo per massimizzare il ricavo dalla privatizzazione (Highway 407 a Toronto o la Chicago Skyway).

Un altro problema è quello della volatilità degli schemi finanziari. Schemi di concessione che mostravano performance particolarmente brillanti, sono poi rapidamente falliti alla prima crisi finanziaria o di domanda (in Italia negli anni ’30, in Francia nel 1982, in Spagna negli anni ’80, in Messico nel 1997, in Ungheria nel 1999, in Cile nel 2000-2002, in Giappone nel 2005, in Portogallo alla fine degli anni Duemila). Duale ad esso è il tema della rinegoziazione. Schemi troppo aggressivi e instabili possono obbligare lo stato ad accettare drammatici fallimenti o costose rinegoziazioni, risultando nel complesso in una deresponsabilizzazione delle parti.

Tra i risultati della ricerca anche l’individuazione di casi di successo o comunque utili per trarre buone pratiche. Tra questi le PPP con contrattualizzazioni chiare e con una chiara suddivisione dei rischi, che garantiscono un minimo di contendibilità ed efficienza e, in ultima istanza, non permettono al gestore di sfruttare la posizione monopolistica per l’estrazione di rendite per gli investitori. Purtroppo l’Italia sembra avere molto su cui riflettere in questo campo, e gran parte sarà lavoro per la politica oltre che per l’ART, che però ad oggi ha visto la mancata attribuzione delle competenza sulle concessioni in essere, con i limiti conseguenti a questa decisione.

Paolo Beria è professore a contratto di Sistemi di Trasporto al Politecnico di Milano

(A cura di Open Gate Italia)

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