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“Rimozione, purga staliniana, imboscata fascista”. È durissimo Mario Mauro nel commentare il colpo di scena avvenuto oggi in Commissione Affari costituzionali. Il leader dei Popolari per l’Italia è fuori, sostituito dal capogruppo del partito al Senato Lucio Romano, dopo una riunione di gruppo.

LE REAZIONI

“Non è stata una libera decisione del gruppo ma un obbligo che muove direttamente dal premier Renzi che in pieno stile confacente ai luoghi in cui si trova ora in visita (il premier è in Cina, ndr) fa fare a distanza questa operazione di basso cabotaggio. La verità è che quello che doveva essere un governo della speranza in realtà è un soviet da quattro soldi”, è lo sfogo dell’ex ministro della Difesa, a cui è arrivata la solidarietà bipartisan di Vannino Chiti del Pd e di Anna Maria Bernini di Forza Italia.

Non quella del suo gruppo che giustifica così la decisione presa: “Rilevata la posizione maggioritaria del gruppo difforme da quella in questo mese più volte espressa del senatore Mauro, si è proceduto in modo conseguente, per dare rappresentanza al volere democraticamente espresso”, ha detto Romano.

L’ODG CALDEROLI

Il mese scorso Mauro votò l’odg di Roberto Calderoli, favorevole all’elezione del Senato, mettendo in difficoltà il percorso governativo delle riforme. A trenta giorni di distanza, il cambio con il suo collega di partito e Corradino Mineo, in dissenso con la linea dell’esecutivo, che diventa il nuovo ago della bilancia.

IL PARTITO

Mauro starebbe meditando sulle dimissioni dal gruppo dei Popolari per l’Italia, vista anche la deriva “renziana” del partito, già notata da Formiche.net. Con il suo passo indietro, il gruppo non conterebbe più sul numero di dieci necessario per esistere autonomamente e non potrebbe dunque esprimere un commissario agli Affari costituzionali.

Ora la marcia renziana sul tema è in discesa, come dimostrano le parole ottimiste di Maria Elena Boschi: “Siamo vicini all’accordo. Mancano solo le ultime cose da verificare”.

Perché Mauro è inviperito con Renzi e Casini

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