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In occasione della presentazione al Civitafestival del suo ultimo film “Quando c’era Berlinguer”, ho incontrato Walter Veltroni.
Ho avuto così la fortuna di conoscere, non tanto il politico che ha rappresentato la storia di questo paese attraverso varie angolazioni, da direttore dell’Unità, a sindaco e ministro, ma il personaggio di cultura più privato, autore di libri e regista di film.

Quest’anno lei è stato in tournée per presentare il suo film, come giovedì qui a Civita e poi al festival di Capalbio. Considera un’occasione culturale i festival minori?
Sì, anche queste rassegne rappresentano importanti occasioni culturali e non solo, sia per la gente del territorio, in cui si portano nuove opportunità normalmente riservate alle grandi città, sia per l’economia del territorio, con eventi e manifestazioni che cercano di incrementare turismo e sviluppo commerciale in un periodo generalmente difficile per le attività economiche italiane.
Poi sono orgoglioso di essere qui alla ventiseiesima edizione del Civitafestival.
Civita Castellana è un grande centro di attrazione culturale ed artistica, un palcoscenico tra quelli più riconosciuti in Italia dagli artisti di fama nazionale ed internazionale, e questo è stimolante.

Comunque il Civitafestival è venuto prima degli altri, giusto?
Si, ma la tournee è comunque in continuo svolgimento da questo inverno. Ad ogni modo la sera stessa che ho presentato il mio film al Civitafestival sono dovuto rientrare di corsa a Roma in piazza Santa Croce in Gerusalemme per intervenire, in questo caso, dopo la proiezione.
Poi venerdì a seguire, sono stato a Capalbio come membro della giuria del festival dei corti e domenica a Montefiascone. Da questa settimana proseguo la “tournée” salendo al nord, a Mantova, dove sarà anche li proiettato il film preceduto da un mio intervento.

Era già stato a Civita di Castellana? Conosceva questa località?
Conosco molto bene la Tuscia ed amo questo territorio, in particolare questa luogo, ricco di arte e cultura, con una bellezza storica e artistica preservata in modo corretto e lungimirante, ma anche un’area colpita da una profonda crisi industriale negli ultimi anni. Un territorio che comunque non sta con le mani in mano, che continua in una collaborazione stretta tra cittadini ed enti locali per percorrere nuove strade di sviluppo industriale, commerciale e turistico.

Lei apre questo film con uno spaccato sulle nuove generazioni che non conoscono Berlinguer. Il film è nato anche con l’obiettivo di consolidare il pensiero politico di Berlinguer?
Si quelle interviste sono un po’ la provocazione dal quale parte la narrazione. Ma se pensate che uno dei ragazzi intervistati (quello che assomiglia a Totti) alla richiesta su chi fosse Berlinguer ha risposto: <<famoso scrittore ….di guerra e pace….>> capirete la confusione…. E la perdita della memoria storica.
Ad ogni modo molti di questi ragazzi non lo sanno ma non solo per colpa loro…
Molti ragazzi di oggi non sanno chi sia stato, evidente in alcune interviste riportate nel film, l’importanza che ha avuto e quanto risulta evidente il cambio culturale e politico successivo alla sua scomparsa, che ha aperto le porte ad una fase politica decisamente opposta, per comportamenti, dedizione e soprattutto di interpretazione del concetto di democrazia e di cosa pubblica.

Quindi l’obiettivo è la memoria storica o cosa?
Diciamo che non è incentrato principalmente sul pensiero politico inteso come appartenenza ad uno schieramento, il PCI di allora, ma soprattutto sulla “politica” come era intesa da Berlinguer. Molto importante e limpido emerge dalla lettera inedita dal carcere, letta da Toni Servillo nel film, in cui traspare precisa l’impostazione di “occuparsi degli altri, della cosa pubblica, della democrazia, della rappresentanza del popolo”, con la serietà e dedizione che gli sono stati guida in tutti gli anni di intenso lavoro, fino al fatidico comizio.
Ho scelto di fare questo film proprio come elogio della politica anche se in questo periodo può sembrare strano… Perché la politica è una cosa bella, proprio secondo il pensiero e l’esempio di Berlinguer, ed ho provato a descriverlo attraverso questo film documentario.
La politica può riempire di senso l’esistenza, è una nostra risorsa fondamentale; viviamo nel periodo dell’io e una tipica stagione di smarrimento in cui si è persa la dimensione del noi. Dovremmo cercare di avere sempre presente che il bello della vita è lo scambio, è l’umiltà, è il lavoro per gli altri senza dimenticarci il punto di vista di chi ha un ruolo pubblico ed una responsabilità pubblica.

Ma è un film nostalgico?
La memoria, la coscienza della storia, la consapevolezza razionale dell’accaduto come oggi ci viene ricordato va vissuta non come nostalgia, ma come importante antidoto contro l’indifferenza o contro l’autoritarismo. E qui faccio sempre riferimento alla lettera dal carcere…
E’ quindi una riscoperta della “questione morale” (assolutamente attuale!) per intraprendere un nuovo viaggio rileggendo Moro, Nenni, Pertini, La Malfa, Enrico Berlinguer.
L’unico aspetto nostalgico si vive nelle ultime scene dove c’è il funerale, si vive con una dimensione collettiva la solitudine attraverso il coraggio di un leader.

Dato che sono già stati realizzati due film dai suoi libri, ricordiamo “Piano, solo”, film del 2007 diretto da Riccardo Milani, e “La scoperta dell’alba”, sempre tratto dal un suo romanzo, di Susanna Nicchiarelli con Margherita Buy.
Per questo film è stato un discorso inverso, giusto?
Si, in questo caso prima è stato scritto prima il film, poi il libro.

Attualmente ne sta scrivendo uno nuovo?
A qualche progetto sta lavorando in particolare?
Si sto lavorando ad un nuovo testo che parla di bambini nella fascia d’età delicata intorno dai 9 ai 13 anni.
Età complicata sia per la ricerca, la scoperta del mondo, sia per la costruzione della personalità e lo sviluppo dei rapporti con gli altri…

Lei che è stato tra i sostenitori del festival del cinema di Roma, a distanza di quasi un decennio, l’ha visto evolvere secondo le sue aspettative?
Diciamo che è nato più come “festa del cinema”, che come “Festival”.
La differenza è sostanziale, cioè doveva essere un’occasione culturale internazionale, di valorizzazione e attrattiva per la capitale, cercando di affermare una sua autonomia e distaccarsi da altri eventi storici e titolati.
Invece negli anni si è progressivamente trasformato in “Festival”, ma non si può negare che è comunque diventato un punto di riferimento nel panorama cinematografico.

Qui la piacevole chiacchierata termina perché il pubblico venuto alla proiezione del suo film vuole anche avere modo di salutarlo personalmente e così, mentre Veltroni si concede generosamente in uno scambio di battute, lo salutiamo per andare a sederci per vedere il suo film.

 

 

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