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In concomitanza col Giovedì Santo si è chiusa la VII legislatura del parlamento europeo a Strasburgo. Con un bilancio complessivo non insignificante: in cinque anni ha tenuto 76 sessioni, per un totale di 2.150 ore di lavoro, l’approvazione di 970 atti legislativi e 754 non legislativi, mentre gli emendamenti presentati dai singoli deputati o dai gruppi parlamentari sono risultati essere 45 mila, implicanti una indubbia varietà di opinioni. L’VIII legislatura nascerà dal voto del 22-25 maggio prossimo; e già gli istituti demoscopici internazionali forniscono i loro sondaggi previsionali che, probabilmente, non si discosteranno di parecchio dai risultati definitivi.

Intanto un dato sicuro di partenza: per il voto di maggio il 60 per cento circa dei deputati uscenti non si ripresenterà al giudizio elettorale. Ciò significa che comunque sei deputati su dieci saranno diversi da quelli che li hanno preceduti anche solo nell’ambito delle stesse famiglie parlamentari di provenienza. Però, nel 40 per cento di parlamentari nuovi, vi saranno mutamenti vistosi: come i 18 grillini italiani, previsti dalla più recente rilevazione della Poll/Warch. Le incognite maggiori riguardano i gruppi nazionalisti, quelli populisti ed estremisti di destra e di sinistra ultimamente emersi nei sondaggi e dai risultati di elezioni nazionali ed amministrative che sottolineavano l’insorgenza di linee di tendenza difficilmente reversibili. Il complesso di tali forze antisistema, euroscettiche o decisamente favorevoli all’abbandono dell’euro come moneta comune alla unione europea ammonta a non più di 222 eurodeputati su 751: poco più di un terzo dei parlamentari europei; non certo una quantità ragguardevole, ma neppure marginale, potendo – ove facessero causa comune – costituire una testuggine rimarchevole di gruppi antagonistici capaci di bloccare leggi e di esercitare attrazione verso estremismi nazionali o indipendentismi disfattisti.

Questi dati dicono che la partita vera si giocherà fra due grandi famiglie europee: la socialdemocrazia del Pse, che porta come candidato alla presidenza della commissione il germanico Martin Schulz; e la democristiana dei popolari europei del Ppe, che ha per candidato commissario l’ex premier lussemburghese Jean-Claude Juncker. Gli ultimi sondaggi danno in  testa il Ppe (che ha guadagnato consensi in Polonia, Francia e Germania, mentre gli avversari socialisti ne hanno perduti in Austria, Bulgaria, Ungheria, Polonia e Grecia). Ma la lotta fra Ppe e Pse è ancora aperta; e qualche sorpresa potrebbe darla proprio il risultato italiano, causa le divisioni (talvolta persino ridicole) dello schieramento centrista, che proprio nei momenti più delicati tende alla disaggregazione piuttosto che all’unità.

Altra peculiarità italiana è il primato nelle infrazioni alle disposizioni comunitarie. Sono ben 114 le procedure (e le sanzioni) mosse all’Italia: 80 di esse concernono casi di violazione dei diritti dell’Unione, 34 riguardano il mancato recepimento di direttive. Più dettagliatamente, su 114 infrazioni, 21 attengono all’ambiente, 16 al settore dei trasporti, 13 al fisco vessatorio e alle dogane, 7 al lavoro e 5 alla giustizia. Le messe in mora e il meccanismo vorticoso degli interessi di mora tendono a vanificare i risparmi ottenuti con lo spendig review. I danni provocati negli anni di Monti e degli ondeggiamenti di Scelta civica (Scelta europea, nella versione europeista) sono oggettivamente incommensurabili.

Elezioni Europee, ecco la sfida tra Popolari e Socialisti

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