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Tanti ne hanno scritto ma in pochi ne hanno ragionato. Il decreto con il quale il governo ha stabilito l’ormai celebre bonus di 80 euro sarà coperto anche con un taglio al budget della Difesa.

Renzi sin dalle primarie si era esposto sulla opportunità di ridurre questo capitolo di spesa che vale meno del 2% del Pil. La somma che nel corso di quest’anno sarà tagliata è abbastanza modesta rispetto al valore complessivo della manovra. I 400 milioni previsti si sarebbero potuti coprire in molti modi diversi.

Il premier voleva però dare un segnale politicamente forte e chiaro, F35 inclusi. Il progetto dei nuovi cacciabombardieri rappresenta un dossier rilevantissimo anche dal punto di vista delle relazioni bilaterali fra il nostro Paese e gli Usa.

Il Consiglio Supremo della Difesa presieduto dal Capo dello Stato era già intervenuto per condividere una strategia complessiva prima di decidere. Il ministro Roberta Pinotti aveva fatto un esplicito riferimento alla necessità di scrivere prima il Libro Bianco della difesa. Non è stato così e fare spallucce dicendo che si è trattato solo di una partita finanziaria (acquisto rinviato ma non ridotto) sarebbe una interpretazione non pienamente corretta. Bisogna riconoscere che questo governo considera la difesa come un costo e non come un possibile driver della crescita.

Anzi, la cosa che maggiormente colpisce è che il taglio già previsto non andrà ad incidere sul personale (che è la parte più rilevante dell’intero budget) ma solo sulla voce – già esigua – relativa agli investimenti. Renzi che pur è grande appassionato delle campagne elettorali americane non avrà fatto caso che la rielezione di Obama è stata possibile anche dai risultati positivi del Pil trainati a loro volta dai successi dell’industria della difesa.

Discutere di questo settore ignorandone gli impatti economici e lavorativi è un errore sesquipedali. La stessa eventuale riduzione degli F35 danneggerà molto più gli impianti produttivi italiani di Cameri che non i conti della Lockeed Martin. Allo stesso modo, gli altri 250 milioni di tagli avranno un effetto diretto sul comparto industriale. Senza contare l’ulteriore marginalizzazione dell’Italia nelle strategie europee e globali.

Considerando la leva positiva che l’industria della difesa produce (si veda recente studio di Prometeia su Finmeccanica) si può concludere che il danno al Paese sarà ben superiore ai risparmi attesi. Siamo sicuri che si sia imboccata la strada giusta? Il dubbio ci sta tutto.

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