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Se il mondo è finito nella trappola del debito, come efficacemente rileva la Bis nel suo ultimo rapporto annuale, vuol dire che insieme ai debitori, che sono persone, famiglie, imprese e intere collettività, sono finiti in trappola anche gli abitanti dell’altra metà del cielo, da sempre occultati nel discorso economico, ossia i creditori. Quelli che, rivelando un pudore che la dice lunga su sostrato psicologico del nostro discorso economico, i resoconti ufficiali chiamano risparmiatori, per intenderci.

Costoro dovrebbero suscitare la nostra pena, costretti come sono a subire il tormento sofferto da chi ha troppi soldi, creati per magia da entità alchemiche che si chiamano banche centrali, e non sa dove metterli. E sono convinto che molti italiani, pure se non lo ammetterebbero mai perché ci piace rappresentarci straccioni e finto poveri, questo tormento lo hanno sperimentato e lo stanno sperimentando sulla loro pelle.

Ma cosa volete che siano le poche migliaia di euro di un piccolo risparmiatore rispetto ai trilioni di un fondo pensione?

Sicché dovremmo ricordarci che se è vero che il 2013 è stato un anno eccezionale per i paperoni di tutto il mondo, è altresì vero che tali guadagni sono stati frutto di patimenti altrettanti corposi: gioie e dolori, viene da dire, scrutando da lontano il flusso emergente di una montagna di spazzatura finanziaria che, dalla marea declinante dei rendimenti, emerge come un mucchio di cadaveri che si pensava di aver sepolto una volta per tutte, dopo la carneficina post Lehman del 2008.

Già mi pare di sentirli i vostri pensieri: ah magari lo avessi io il problema di dove mettere i soldi, quando ho quello contrario, ossia di dove prenderli.

Ma sono pensieri automatici, frutto di un’epoca automatica nella quale il mainstream suggerisce a ognuno di noi persino cosa pensare, non badateci.

Concentriamoci invece sui tormenti dei creditori perché costoro, che per natura faranno affogare coloro a cui prestano prima di affogare loro (e di conseguenza) ormai sono il vero primo e forse unico potere del nostro esausto mondo, costretto a finanziare ogni anno gigantesche quantità di obbligazioni e quindi obbligato a chinare il capo e a farsi benedire dai possidenti.

Ma questo è il tormento del debitore, che conosciamo tutti bene.

Il tormento del creditore è di natura assolutamente diversa. Anche lui, come il debitore, conosce l’insonnia, ma per opposte ragioni. L’uno calcola la propria incapienza, l’altro è insonne perché nulla cura la sua inesausta fame di rendimento.

Carnivoro perciò, questo animale astruso, ma solo di temperamento, perché poi di bocca buona com’è lo si potrebbe definire onnivoro, come il maiale e l’uomo.

La Bis, sempre prodiga di ragguagli morali nascosti dietro la patina della contabilità, ci racconta che costoro, i creditori, ormai disperano di trovare alcunché capace di dare ostello dignitoso alla loro fortuna numeraria.

Ormai comprano di tutto, purché possano spuntare qualche punto base in più del decennale americano o, peggio ancora, di quello tedesco. La loro fame di rendimento li sta accecando e presto li perderà, sembra di capire, visto che – è sempre bene ripeterlo – il rendimento porta con sé il rischio.

“In questa situazione di elevata propensione al rischio – dice la Banca – le vivaci emissioni di titoli a più basso rating sono state accolte da una forte domanda da parte degli investitori”.

E ricordiamoci pure che “negli ultimi è stato emesso un volume considerevole di debito, sia nel segmento di qualità, sia in quello ad alto rendimento”. Ossia quello più rischioso. Quest’ultimo, giova saperlo visto che qui si fa la storia del debito, è esploso a 90 miliardi di dollari nel 2013, quando prima della crisi non arrivava a 30. Quale migliore nemesi per il creditore che essere costretto a navigare un post crisi peggiore del pre crisi?

Comprendete le ragioni del tormento?

No? Siete ancora invidiosi? Allora ve ne do un’altra.

“Nel mercato dei prestiti consorziali – dice la Bis – i finanziamenti erogati a mutuatari con merito di credito inferiore e alto grado di leva (prestiti leveraged) hanno superato il 40% delle nuove sottoscrizioni per gran parte del 2013 una quota superiore a quella pre‑crisi dal 2005 a metà 2007. La presenza di misure di protezione dei creditori sotto forma di clausole di salvaguardia (covenant) è diminuita sempre più nei nuovi prestiti”.

Meno protezioni, perciò, per queste Moby Dick creditrici che schiumano dollari mentre infiniti Achab debitori cercano di arpionarle per succhiargliene un po’.

La balena-creditrice mi suscita sempre più pena, poi, quando leggo che “l’attrazione degli investitori per le tipologie di prestiti più rischiose ha fomentato anche un aumento delle emissioni di attività come le obbligazioni payment-in-kind e i fondi di investimento immobiliare specializzati in mutui ipotecari (mREIT)“.

Spazzatura finanziaria, appunto, che uno credeva l’esperienza avesse consegnato alla storia e che invece riemerge dalla fossa nella quale era stata interrata nel biennio successivo alla crisi, quando i creditori, ormai tremanti, si rivolsero al Demiurgo che tutto può in cerca di protezione.

A proposito, sapetete come è andata a finire il fly-to-quality di quegli anni verso i sicurissimi bond pubblici americani?

E’ finito benissimo (per gli americani).

Sempre la Bis, Virgilio ideale, competente e sicuro, nei gironi in cui il creditore patisce i suoi tormenti infernali, giusto contrappasso per la sua avidità, tratteggia un box che già dal titolo la dice lunga: L’ondata di vendite 2013 nel mercato dei titoli del Tesoro Usa.

Già, qual è stato l’impatto dell’ondata di vendite di bond Usa sui portafogli dei poveri/ricchi creditori che tali titoli avevano comprato dopo il crack Lehamn per metterli al sicuro? Dipende da come si contano le perdite, spiega la Bis, che si spinge a confrontare l’ondata di vendite Usa scatenatasi da maggio 2013, dopo l’annuncio improvvido (o subdolamente provvido) dell’ex boss della Fed che presto il tapering sarebbe iniziato, con quella accaduta nel 1994 e poi nel 2003.

Anche in questi due casi a far detonare l’ondata di vendite fu un rialzo dei tassi Usa che evidentemente, ben consci del loro “esorbitante privilegio” ci marciano e non ci pensano due volte a tosare i poveri creditori che hanno affidato loro i loro sudatissimi risparmi.

Ebbene, nel 2013, spiega la Bis, “le perdite ai prezzi correnti di mercato sui singoli titoli durante le turbolenze del 2013 non sono state pari a quelle del 1994 e del 2003. Ma un tratto distintivo dell’ondata di vendite del 2013 è stata la massiccia espansione delle consistenze di debito a seguito della crisi finanziaria”. Quindi le perdite sono state minori, sui prezzi correnti, ma maggiori sullo stock. Ed è facile capire perché: “Fra gli inizi del 2007 e il 2014 lo stock di titoli del Tesoro USA negoziabili in essere è pressoché triplicato, passando da $4 400 a 12.100 miliardi, e al suo interno è aumentata la quota di titoli detenuti nell’ambito del Federal Reserve System Open Market Account”.

Conclusione: “A causa della forte espansione dello stock di titoli del Tesoro USA dalla crisi finanziaria, l’ondata di vendite del 2013 sui mercati obbligazionari ha generato una perdita aggregata maggiore, in termini sia di dollari sia di PIL, rispetto alle turbolenze del 1994 e del 2003. Fra maggio e fine luglio 2013 l’insieme dei detentori del debito statunitense è incorso ai prezzi correnti di mercato in perdite cumulate intorno ai $425 miliardi, equivalenti a circa il 2,5% del PIL. Le perdite aggregate stimate per l’ondata di vendite del 2003
ammontarono a $155 miliardi, pari all’1,3% del PIL, e quelle del 1994 a circa $150 miliardi, intorno al 2% del PIL”.

Se queste piccole storie non vi hanno mosso a compassione per i poveri/ricchi creditori, allora almeno abbiatene per quei poveracci che dei loro tormenti devono farsi carico, dovendone amministrare le fortune e, peggio ancora, dovendo pure render conto.

“Gli intermediari con passività fisse – osserva la Bis – (ad esempio compagnie assicurative e fondi pensione) o i gestori patrimoniali che promettono ai clienti un rendimento fisso, possono reagire a un contesto di tassi bassi assumendo un maggior rischio di duration o di credito. Anche i sistemi di retribuzione nel settore della gestione patrimoniale, che legano il compenso a misure di performance assolute, possono contribuire in modo rilevante a incoraggiare la ricerca di rendimento da parte dei gestori”.

Ecco perciò la tirannide del creditore, direttamente proporzionale al suo tormento, che cresce come una malapianta che avvolge tutti, e sovente neanche ce ne rendiamo conto. Dal grande fondo pensione, che amministra il risparmio previdenziale dell’impiegato, alla banca, che usa chissà come i faticosi risparmi della pensionata, all’asset manager, che smista i milioni del rentier. Tutti insieme appassionatamente.

Aspettando il redde rationem.

I tormenti dei creditori

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