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Grazie all’autorizzazione del gruppo Class editori pubblichiamo l’articolo di Gianfranco Morra apparso su Italia Oggi, il quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi.

San Giorgio o Don Chisciotte? Renzi combatte dei mostri o dei mulini a vento? Di certo non mira a seppellire partiti e sindacati, ma a restituirli al loro ruolo, da troppo tempo dimenticato. Come li vuole la Costituzione: luoghi di associazione dei cittadini per concorrere a determinare la politica nazionale; associazioni per difendere i lavoratori dentro la promozione del benessere economico nazionale.

LE CONQUISTE DEI SINDACATI

I sindacati lo hanno anche fatto: per decenni sono stati attori coraggiosi e insostituibili della emancipazione del proletariato. Nati sul finire dell’Ottocento, epoca di forte sfruttamento, hanno gradualmente ottenuto, per le classi lavoratrici, miglioramenti economici e più umane condizioni di vita. Grandi e dovute conquiste, come le otto ore di lavoro, le ferie, i congedi, le pensioni, le assistenze mutualistiche.

LA TRASFORMAZIONE FASCISTA

Il fascismo, forma di socialismo nazionalista, li trasformò in cinghie di trasmissione dell’autoritarismo nel mondo del lavoro; non mancò di migliorare le condizioni del lavoro e creò molte strutture del Welfare, tuttora operanti nel nostro paese, ma in chiave di concessione da parte dello Stato centralizzato.

L’IMPORTANZA CON LA REPUBBLICA

Ebbero nuovamente il loro spazio con la Repubblica e vi assunsero una importanza crescente, raggiungendo anche risultati positivi, ma divenendo elementi di instabilità politica e di regressione economica. La Repubblica italiana sancì nella Costituzione la libertà sindacale e di sciopero, difese i diritti sindacali, senza definire in concreto quali ne fossero anche i doveri. L’adesione dei lavoratori ai sindacati venne sollecitata, anche col sistema della tacita iscrizione e della previa sottrazione della quota associativa dallo stipendio operaio (riscossa e girata dai capitalisti). I sindacati, soprattutto quelli “rosso” e “bianco”, divennero istituzioni dotate di un grande budget economico, senza nessun obbligo di rendiconti e controlli sul modo del suo impiego. Li ha chiesti Renzi alla Camusso poche settimane or sono.

IL FORTE POTERE E I CONDIZIONAMENTI

Era nato un forte potere, capace di condizionare, con lo sciopero generale o con la sua semplice minaccia, il potere politico (non pochi governi furono fatti cadere dai sindacati). Non bastava la consultazione dei sindacati, i governi dovevano contrattare le loro decisioni e trovare con essi delle convergenze. La politicizzazione fu quasi totale, il consociativismo tra parlamento-governo e sindacati si tradusse in una governance disastrosa, che portò l’Italia alla decadenza e al collasso. Tutti i parametri negativi della nostra economia (aumento della spesa e del debito pubblico, eccessivo costo del lavoro, inflazione, disoccupazione) ebbero come coattori i sindacati, che cercarono di potenziare il loro potere con la scala mobile e con Statuto dei lavoratori: il cui art. 18 rese inamovibili tutti, anche assenteisti, fannulloni e ladri. Il costo del lavoro crebbe e scoraggiò gli imprenditori italiani e stranieri. L’immissione eccessiva di lavoratori nel pubblico impiego e la difesa di chi era dentro ha bloccato per decenni l’assunzione dei giovani.

IL CAMBIAMENTO DI REGISTRO MANCATO

Mali di tutte le nazioni europee, certo, ma da noi più forti e quasi incurabili per volontà del sindacati. Essi non capirono che dovevano cambiare registro, come avvenne in Germania e in Inghilterra durante i governi dei socialisti Schröder e Blair. E mentre lo stesso Pci, caduta l’Urss, cercava senza fretta una metamorfosi, la prassi sindacale manteneva, chi più chi meno, i parametri del comunismo: statalismo, centralizzazione e lotta di classe. Nonostante segni evidenti da decenni di crisi e sfacelo: la contestazione del segretario Lama, la protesta dei 40 mila a Torino, il disinteresse dei lavoratori, il forte calo degli iscritti e il sorpasso dei pensionati, la vittoria del no (voluto da Craxi contro il Pci) nel referendum sul potenziamento della scala mobile, avrebbero dovuto spingere i sindacati sulla via della collaborazione e della Mitbestimmung. Così non è stato.

LA RIFORMA DI RENZI E POLETTI

Renzi e il ministro del lavoro Poletti lo hanno capito bene. Ecco perché la loro riforma (Job Act) tiene conto del parere dei sindacati (consultazione), ma non li accetta come partner condizionanti delle decisioni (contrattazione). Avviene in tutti i paesi democratici e i tempi sono maturi anche da noi. Nel momento in cui la classe sociale è divenuta una categoria inutilizzabile, il sindacato deve rompere il matrimonio incestuoso tra totalitarismo comunista e profitto borghese, per aprirsi ad una solidarietà non solo di categoria, ma di bene comune nazionale, in una dialettica della collaborazione, non della lotta di classe.

LO STRAPOTERE DEI SINDACATI

Ogni civiltà ha i suoi mostri, come ha gli eroi per eliminarli: Medusa e Perseo, il Minotauro e Teseo, Lucifero e S. Michele, il Drago e S. Giorgio. Alla fine gli eroi vincono sempre, perché il mito è un racconto soprannaturale. Ma nella realtà le cose sono più complesse. Riuscirà Renzi a frenare lo strapotere di partiti e sindacati?

Ce la mette tutta. Ma un doppio duello è davvero arduo, anche per lui non sarà facile.

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