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Ci sono cose che è difficile rimpiangere, e il Porcellum è senz’altro fra esse. Tuttavia non possiamo escludere che l’Italicum riesca nella titanica impresa. La legge concordata nel téte-à-téte del Nazareno, ammesso che passi indenne dal percorso di guerra del Senato, si presenta come il classico insieme di buone intenzioni che va a lastricare la via dell’inferno. Ciascuno dei provvedimenti in essa inseriti, dai collegi piccoli alla “soglia-terrore” per lo sbarramento fino al ballottaggio di coalizione non sono in sé sbagliate; nel loro insieme costruiscono un pastrocchio indigeribile.

Ne parliamo a futura memoria, beninteso; è fin troppo evidente che la pistola puntata alla tempia del Parlamento da Matteo Renzi (ed anche dalla Consulta, in verità) dispiegherà per intero il suo aspetto intimidatorio e che l’Italicum, sia pur dimezzato e forse emendato, sarà legge dello Stato. Il problema è: per quanto? La sentenza della Consulta che ha bocciato il Porcellum appare infatti largamente elusa o irrisolta.

Esiste ovviamente una logica ritrosia della Corte Costituzionale ad intervenire in una materia delicata come quella della legge elettorale; solo così sì spiegano gli otto anni di persistenza di una legge come la Calderoli, che aveva profili di incostituzionalità evidentissimi. Ma una volta che sia stata aperta la breccia, è probabile che si registri un certo interventismo in materia, tanto più che nessun organismo di giurisdizione può assistere inerte all’ostentata disapplicazione delle sue sentenze.

In realtà il primo dei due rilievi di costituzionalità mossi al Porcellum, la mancanza di una soglia minima per l’assegnazione del premio di maggioranza può dirsi in qualche modo risolta, sia pure in modo rabberciato, dalla previsione del 34%. Più complicato l’aspetto del ballottaggio, al quale si darebbe luogo, in ipotesi, anche se due coalizioni prendessero il 15% ed altre sette il 10%. Ma si tratta di ipotesi di scuola.

Il vero nodo è il secondo, cioè l’impossibilità per il cittadino di sapere in concreto quali parlamentari ha eletto con il proprio voto. Contrariamente alla vulgata giornalistica, la Corte non ha affatto postulato la necessità delle preferenze: il requisito sarebbe ampiamente soddisfatto sia dal Mattarellum, dove le preferenze sono escluse, sia dal cosiddetto sistema spagnolo, dove le “liste corte” permettono l’identificabilità.

Il problema sta nella ripartizione dei seggi attraverso il collegio unico nazionale, che obbliga ad utilizzare un complicato algoritmo per l’assegnazione, con evidenti effetti paradossali, per cui una lista può eleggere parlamentari in circoscrizioni dove ha preso meno voti di altre nelle quali invece non designa nessuno. Questo, unito alla bestemmia delle candidature multiple, espropria sostanzialmente l’elettore di ogni possibilità di determinare la composizione della Camera dei Deputati. Un vulnus che, paradossalmente, non sarebbe sanato nemmeno dalla reintroduzione delle preferenze.

Insomma, è molto difficile che l’Italicum passi l’eventuale vaglio degli inquilini di Palazzo della Consulta. Sempre che una possibile maggioranza qualificata Renzi-Berlusconi non decida di abolirla.

L’algoritmo della democrazia

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