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Pubblichiamo un articolo di Affari Internazionali

Vladimir Putin vive “in un altro mondo,” avrebbe detto la cancelliera Angela Merkel a Barack Obama, a seguito di una conversazione telefonica con il leader russo. Forse in un universo parallelo “orwelliano” in cui libertà è schiavitù, e bugie vengono propagate da un ministero della verità. E sembra quasi che con la crisi politica che sta consumando l’Ucraina si stiano riaccendendo sotto la cenere le braci dell’ostilità e della paranoia dell’epoca della guerra fredda.

MERKEL CONTRO LE SANZIONI
Eppure la Merkel è riluttante nel sanzionare e isolare Mosca, rea di aver destabilizzato l’Ucraina. Questa cautela tedesca monta lo sdegno dei conservatori intransigenti a Washington che deridono l’inefficacia dell’Unione europea: “Putin ha silurato il patto commerciale tra Bruxelles e Kiev e ora l’Europa vorrebbe che fossero gli Stati Uniti a rispondere?”

Anche il filo-europeo Henry Kissinger su questo punto è caustico, accusando l’Ue di “lentezza burocratica” che “trasforma una trattativa in una crisi”. Kissinger però riconosce i pericoli di una reazione impulsiva e sostiene un compromesso con Mosca basato sulla “finlandizzazione” dell’Ucraina. Altri repubblicani, invece, sferrano un attacco in piena gola ad Obama, accusato di essere un “leader debole” la cui “politica estera incapace” ha ispirato l’aggressione russa. Bisogna resistere!

RIFLESSI DELLA GUERRA FREDDA
Se i riflessi della guerra fredda si riaffacciano nei quartieri conservatori di Washington, questi sono radicati molto più profondamente in Russia. Putin, come è noto, ha dichiarato alla Duma che la dissoluzione dell’Unione Sovietica è stata “il maggior disastro geopolitico del secolo scorso”. E furono proprio le pressioni derivanti dall’espansione verso l’est della Nato, assieme alla guerra contro la Serbia riguardo il Kosovo, a fare da propulsione per l’ascesa di Putin al potere nel 1999.

Da Mosca, Putin vede ovunque un’implacabile campagna politica e strategica occidentale volta a ridurre il peso della Russia: velata dal linguaggio altisonante della democrazia e dei diritti umani, questa campagna cerca di imporre modelli economici e politici occidentali in tutto il mondo. Quindi la retorica russa sull’Ucraina fa un’amara parodia del vocabolario dell’internazionalismo occidentale:
“Le forze militari russe stanno effettuando un “intervento umanitario”, proprio come fecero i paesi occidentali in Libia” (anche se in Ucraina le autorità non uccidono né minacciano nessuno).
“La regione autonoma di Crimea ha diritto alla secessione dall’Ucraina, allo stesso modo con cui i Paesi occidentali lo affermarono per il Kosovo” (giuridicamente un parallelo abbastanza aderente, anche se manca il piccolo dettaglio della repressione serba).
“L’espulsione dei funzionari governativi da parte dei militanti filorussi nei distretti russofoni ucraini è espressione dell’autentica volontà popolare, una replica giusta all’azione dei manifestanti ‘euro-maidan’ che costrinsero alla fuga il presidente Viktor Yanukovich”.

UCRAINA E NATO
In realtà questa simmetria è alquanto pretestuosa. Putin considera minaccioso per la Russia qualsiasi modesto collegamento tra Europa e Ucraina, per paura che diventi un primo passo per l’ingresso di quest’ultima nella Nato.

Il patto commerciale negoziato da Yanukovich e gli europei sembrava loro un compromesso innocuo. Per Putin, no. Quindi la sua scommessa di novembre che è fallita spettacolarmente, mobilitando schiere di manifestanti che hanno buttato Yanukovich giù dall’equilibrio, e infine giù dal potere.

Sebbene Obama non vede più alcuno “scacchiere della guerra fredda”, Mosca al contrario crede di aver appena perso la sua “regina”. Per questo Putin ha alzato la posta.

In realtà, la sfida russa è meno rischiosa per l’Occidente di quanto non lo sia per una Russia che resta fragile in termini economici, politici, con le proprie innumerevoli enclave etniche, e diplomatici.

L’anno scorso il Pew Research Center riscontrò che appena un terzo dei cittadini di trentotto paesi avevano un parere favorevole sulla Russia, rispetto alla metà favorevole alla Cina – e ai due terzi favorevoli agli Stati Uniti. Senza legami di amicizia, ogni rapporto diventa transazionale; e ora la ripugnanza internazionale è in crescita.

CRIMEA VERSO IL PLEBISCITO
Presumibilmente un accordo si può trovare: Putin non manifestava interesse al controllo russo della Crimea fintanto che il governo di Kiev si è mantenuto neutrale tra Oriente e Occidente. Logicamente, il modello finlandese o austriaco, cioè un’Ucraina fuori della Nato con la presenza di osservatori internazionali, potrebbe essere la chiave per una soluzione della crisi.

Tuttavia, la gestione maldestra e improvvisata della Russia della crisi ad oggi, tra cui un plebiscito assurdo in Crimea (che si terrà tra una settimana!), può rendere impossibile un compromesso ragionevole a breve termine. L’annessione della Crimea non metterebbe solo a rischio i confini tenui del mondo post-sovietico, compresi quelli della Russia, ma la perdita dei votanti di Crimea farebbe pendere la bilancia elettorale dell’Ucraina decisamente verso l’Occidente, e la temuta Nato. Se persegue l’annessione, l’Occidente dovrebbe bloccare la Crimea dal commercio e dagli investimenti.

In questa crisi, Washington certamente sostiene gli europei, ma l’Ucraina è un affare prettamente europeo. L’Europa ha il peso economico che conta per tutt’e due Russia e Ucraina. Nel treno delle trattative, deve essere l’Europa in testa.

Jeffrey Laurenti, ricercatore e analista delle Nazioni Unite e della politica estera americana, è stato direttore di studi politici presso l’Associazione delle Nazioni Unite degli Stati Uniti e senior fellow e direttore dei programmi di politica estera presso la Century Foundation a New York.

Come e perché l'Unione europea può risolvere la crisi ucraina

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