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Giocosamente, fra buffonerie, ciacole, bevute allegre, sberleffi alla politica e ai partiti, utilizzazione intelligente delle tecnologie ben oltre lo streaming grillino, quei territori che, nell’Ottocento anticlericale, venivano definiti la Vandea della penisola, hanno quietamente, prendendosi una settimana per realizzare il loro progetto elettronico, votato per la propria indipendenza. Ridicolizzando i plebisciti, ai quali avevano al tempo partecipato poche centinaia di benestanti e di cui s’erano avvalsi i Savoia per annettersi quelle terre e quei popoli ch’erano appartenuti, per 1.200 anni, alla Serenissima Repubblica di Venezia.

L’informazione di Stato, quella per i cui lacunosi servizi informativi, paghiamo tutti un canone, cioè una tassa indebita in regime di pluralismo radiotelevisivo invasivo e meglio attrezzato, aveva tenuto totalmente all’oscuro i propri utenti italiani e stranieri di quel che andava succedendo nel Veneto: non nelle ultime ore, ma da tempo, da anni, e che solo un conformismo ottuso portava inesorabilmente a ignorare. Sino a quando il bubbone è scoppiato e non si è saputo come giustificare il proprio omertoso, lungo silenzio.

Benché privo di valore legale, il plebiscito indetto da Gianluca Busato non è stata una carnevalata goldoniana. Ed è da considerare vicenda molto diversa dalla scalata notturna del 1997 al campanile di San Marco con annesso presidio di una carretta corazzata chiamata tanko, dotata di una vetusta bombarda, che pur costò cara agli arditi organizzatori con condanne penali severissime.

Certo, si possono nutrire dubbi sul numero reale dei votanti, su gente che può avere votato più volte e magari da altre regioni; ma anche i voti denunciati nelle ultime primarie del Pd hanno sollevato parecchi interrogativi quanto a modalità, partecipazione, numeri reali assegnati ai diversi candidati. Non è legittimo assegnare alle primarie un valore democratico cogente e al discutibilissimo plebiscito veneto attribuire soltanto una valenza folcloristica, marginale, irrilevante.
Possono fare sorridere i proclami di vittoria con la dichiarazione di decadenza della «sovranità italiana sul popolo e sul territorio veneto», lanciati in presenza di una «folla» di meno di cinquecento persone nella piazza dei Signori di Treviso. Ma in consiglio regionale veneto è anche da tempo depositato un progetto, presentato dall’Udc, per varare un referendum indipendentista, ora anticipato dall’iniziativa plebiscitaria. Sicché costituzionalisti e giuristi potranno sbizzarrirsi nel ricordare che un plebiscito secessionista non è ammesso dalla costituzione italiana. Fine del discorso?

Nel Veneto è successo qualcosa che trova precedenti solo nel separatismo siciliano del 1943-1947. Con la differenza che il separatismo di Finocchiaro Aprile era dotato di un esercito che ricorreva ad un terrorismo che neppure i comandi militari alleati riuscivano a bloccare; mentre ora un popolo – siano vere o fasulle le cifre fornite dai manipolatori delle urne illegali – si è espresso liberamente, senza forme di intolleranza e di violenza: cioè democraticamente. E il ribellismo democratico, comunque si esprima e si autorappresenti, è qualcosa di estremamente serio. Che si affronta con la politica. Non miscelando tutte le insofferenze antipartitiche, approfittando di una condizione economica decisamente negativa dovuta anche a errori di governo e non soltanto al burocratismo di Bruxelles; né battezzandole come espressive di basso populismo.

 

Dal Veneto una lezione di ribellismo democratico

Giocosamente, fra buffonerie, ciacole, bevute allegre, sberleffi alla politica e ai partiti, utilizzazione intelligente delle tecnologie ben oltre lo streaming grillino, quei territori che, nell’Ottocento anticlericale, venivano definiti la Vandea della penisola, hanno quietamente, prendendosi una settimana per realizzare il loro progetto elettronico, votato per la propria indipendenza. Ridicolizzando i plebisciti, ai quali avevano al tempo partecipato poche centinaia di…

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