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Gli sforzi del segretario di Stato americano Antony Blinken faticano a modificare la linea del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu: “Niente cessate il fuoco fino a quando non verranno liberati gli ostaggi”. La tensione nella Striscia di Gaza resta altissima. Ma la cosa più preoccupante è “il filo rosso che lega i focolai di conflitto sparsi nel mondo: da Taiwan all’Ucraina, finendo con il Medio Oriente. Assistiamo a una contrapposizione sempre più netta tra i sistemi liberali e quelli illiberali”. L’analisi è di Andrea Orsini, parlamentare di Forza Italia, capogruppo azzurro in Commissione Esteri alla Camera e vicepresidente della delegazione italiana presso l’assemblea parlamentare Nato.

È il momento, anche per gli Stati Uniti, di cambiare strategia ed essere più incisivi per evitare il dilagare del conflitto in Medio Oriente?

Penso che il segretario di Stato americano sia ben consapevole della reale portata che potrebbe assumere questo conflitto qualora dovesse deflagrare ulteriormente. I legami tra Hamas e Teheran sono tra le prime fonti di preoccupazione in questo senso. Ma, più in generale, gli Usa sono perfettamente coscienti del fatto che sia in atto una sfida globale verso i valori occidentali.

Resta, alla base di tutto, la mai risolta “questione palestinese”. 

È evidente che i civili palestinesi siano le vere vittime di questo conflitto, strumentalizzate da molti governi per acquisire consensi e utilizzati dai terroristi di Hamas anche come scudi umani. Su questo penso che gli Usa possano esercitare un ruolo strategico. Pur nel ribadire la vicinanza a Israele, devono aiutarlo non solo a trovare una soluzione militare, ma anche politica e diplomatica a questo conflitto.

In questo contesto come vede la posizione italiana?

Mi pare che l’Italia abbia agito con grande responsabilità nel ribadire, senza ambiguità alcuna, la vicinanza a Israele e la netta condanna ai crimini perpetrati da Hamas. Il governo ha fatto il possibile, dialogando con i Paesi Arabi più ragionevoli con l’obiettivo di evitare un’escalation, tenendo aperto uno spazio per la trattativa.

Due popoli e due Stati, con un rinnovamento della classe dirigente all’interno dell’Autorità Nazionale Palestinese. Utopia?

Questa è la soluzione ideale, benché allo stato attuale sia molto lontana come prospettiva. E, aggiungo, che non si potrà mai realizzare finché non si daranno a Israele ragionevoli garanzie che non sarà più attaccato.

Sul terreno della guerra restano centinaia, migliaia, di vittime civili. 

Certo, ed è questo il vero dramma. Ma anche su questo punto mi permetto di fare una distinzione. Benché le vittime civili abbiano tutte pari dignità, quelle israeliane sono il frutto di crimini terroristici portati avanti con un preciso intento, quelle palestinesi sono la conseguenza non voluta della reazione di Israele a un attacco indiscriminato e vile. Tra l’altro, Israele sta facendo il possibile per limitare le vittime civili palestinesi.

Taiwan, Kyiv, Tel Aviv. Prima si accennava a un fil rouge che unisce questi focolai. Può esserci un legame tra la posizione assunta dall’Italia al fianco dell’Ucraina, la forte condanna di Hamas e la telefonata dei due “comici” russi alla presidente del Consiglio Giorgia Meloni?

Non amo le dietrologie. Ma è evidente che ci sia il tentativo, da parte delle propaggini di questi sistemi illiberali, di avvelenare i pozzi. Fuori di metafora, non so se questi comici (o presunti tali) abbiano agito in autonomia o ci sia alle spalle una regia più sofisticata. Tendenzialmente opterei per la seconda ipotesi. La Russia da anni cerca di compromettere la credibilità delle classi dirigenti occidentali. E, da quando ha ingaggiato il conflitto ai danni dell’Ucraina, questa operazione di infowar è aumentata a dismisura. È, insomma, un altro piano del conflitto. Anche se è andata male ai due “comici”: la presidente Meloni ha ribadito la linea del governo in maniera molto coerente. Ho apprezzato, in questa vicenda, la grande signorilità dell’ambasciatore Francesco Talò che si è assunto la responsabilità di ciò che è accaduto.

Lei è reduce da una missione in Turchia. Non sono mancate ambiguità sui crimini di Hamas da parte di Ankara. Che ruolo gioca Recep Tayyp Erdogan in questo scacchiere?

La Turchia è uno Stato, geograficamente e geopoliticamente, al centro delle zone più delicate del mondo. È un Paese che affaccia sul Mar Nero, controlla gli stetti che sono i punti d’accesso della Russia al Mediterraneo. È vicina al Medio Oriente, ha influenze in Caucaso e vanta una forte presenza in Libia. Ankara rivendica di poter legittimamente tutelare i propri interessi, ma è importante che, nel momento in cui assume certe posizioni, si ricordi di essere parte di un’alleanza che non è solo militare, ma di valori, di cultura, di prospettiva. Non c’è dubbio che le posizioni turche sui crimini di Hamas suscitino qualche preoccupazione. Ma d’altra parte scontiamo ancora errori fatti vent’anni fa, quando perdemmo l’occasione per avvicinare la Turchia all’Ue. 

Taiwan, Kyiv e Tel Aviv, il rischio per i sistemi liberali. Parla Orsini (FI)

C’è un filo rosso che lega i focolai dei conflitti sparsi in giro per il mondo: la contrapposizione tra i sistemi liberali e quelli illiberali. Il ruolo degli Usa in Medio Oriente è quello di trovare non solo una soluzione militare, ma anche diplomatica e politica alla questione palestinese. Bene la posizione italiana. Conversazione con Andrea Orsini, capogruppo di Forza Italia in Commissione Esteri alla Camera e vicepresidente della delegazione italiana presso l’assemblea parlamentare Nato

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