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L’intesa di Londra tra Usa e Cina su terre rare e semiconduttori rappresenta qualcosa di diverso sia da una tregua provvisoria che da un accordo stabile e duraturo. Definiamola per ora un atto di distensione in una fase di acceso confronto/scontro tra le due potenze. Il punto di incontro dei negoziati sembrerebbe essere trovato su un allentamento reciproco delle restrizioni all’export di terre rare e magneti dalla Cina verso gli Usa e di chip e software nel percorso inverso. Questa distensione andrebbe a cristallizzare il sistema di dazi con un complessivo 55% lato Washington e 10% lato Pechino. È questa una notizia importante e positiva, in primo luogo per settori strategici e ad alto impatto quali i tecnologici, l’automotive e la difesa. Tale situazione suscita però alcune riflessioni.

La prima. La competizione geo-economica tra Usa e Cina, seppure in un contesto globale che sembrerebbe sempre più apolare, è invece comunque destinata a condizionare gli equilibri dell’economia su scala globale. Basti pensare all’incidenza che hanno avuto sulle catene globali del valore le restrizioni imposte a questi scambi strategici. E al lavoro in corso per affrancarsi dalla dipendenza cinese sviluppando nuove catene di approvvigionamento integrate con nuovi poli produttivi, o al lavoro di ricerca, ad esempio sull’automotive per sviluppare motori a basso utilizzo di terre rare.

Una seconda riflessione. In questa fase storica le relazioni geopolitiche si tengono sempre più a livello di confronto bilaterale, e stanno perdendo sempre più peso gli organismi multilaterali.

Una terza e conclusiva riflessione. L’Unione Europea necessita di una strategia che le permetta di non restare schiacciata dal dialogo competitivo tra Washington e Pechino. Da una parte, ormai archiviata l’infatuazione di alcune cancellerie europee per il progetto cinese della “Belt and Road Iniziative” e con sullo sfondo i rapporti tra Pechino e Mosca sull’Ucraina, la realpolitik impone il dialogo tra Bruxelles e Pechino. Ad esempio, ma non solo, per ricondurre in una cornice ragionevole le dinamiche della bilancia commerciale tra le due parti e la concorrenza sui prezzi.

D’altra parte però, pur con le criticità del periodo attuale, non si può perdere di vista la centralità delle relazioni transatlantiche e della partnership strategica tra Bruxelles e Washington. E questo vale a maggior ragione guardando all’Italia, con gli Usa che rappresentano il primo investitore estero in Italia ed il primo mercato extraeuropeo per i prodotti italiani con una bilancia commerciale in attivo.

Anche per questo, le negoziazioni in corso durante questo periodo di tregua sui dazi dovrebbero gettare le basi per un accordo che non sia soltanto contingente ma che possa creare le condizioni per un accordo complessivo e duraturo tra le due sponde dell’Atlantico.

Per affrontare queste sfide, è però essenziale che l’Ue, superando divisioni ed egoismi interni, completi un cambio di marcia sui principali dossier presenti sul tavolo, come a suo tempo indicato dallo studio di Mario Draghi, a partire dalla necessità di rendere strutturale il meccanismo di solidarietà tra Stati Membri che portò alla realizzazione del Next Generation Eu. Senza rinunciare ad affermare l’importanza dell’approccio improntato al Multilateralismo che la ha caratterizzata negli ultimi decenni.

 

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