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Nel settembre 2013, dopo quasi sei anni, si è interrotta la fase di contrazione dell’attività bancaria internazionale, una contrazione per circa 4/5 addebitabile alle operazioni interbancarie (che pesano nell’aggregato per circa il 60%) e per la parte residua alle operazioni con controparte non bancaria.

Nel marzo 2008 l’attività bancaria internazionale aveva per l’80% i paesi sviluppati come residenza della controparte, per meno dell’8% i paesi emergenti e per il 12% i centri offshore; alla data più recente i primi risultano scesi poco sotto il 74%, i secondi saliti al 12,4%. La flessione dei paesi sviluppati è addebitabile interamente ai paesi europei. L’incremento della quota dei paesi emergenti è ripartita su un ampio insieme di paesi. A superare la soglia dell’1% sono solo il Brasile (1,1%) e la Cina (2,8%), ora non lontana dal Giappone (3,5%).

Il ridimensionamento del contributo europeo era in parte atteso. Nel periodo precedente la crisi del 2007-08 la crescita dell’attività bancaria cross-border ha avuto proprio nel Vecchio Continente uno dei suoi traini maggiori: tra il 1995 e il 2008, l’attività internazionale è cresciuta del 370% a livello globale, del 420% in Europa, del 220% negli Stati Uniti.

La verifica dello stato dell’integrazione finanziaria dell’area europea deve necessariamente concentrarsi sui due segmenti quantitativamente più importanti, e cioè sui titoli di debito e sul settore bancario. Per quanto riguarda il primo comparto, si può rilevare che la quota nel portafoglio delle banche dell’eurozona dei titoli sovrani e dei titoli emessi da operatori non finanziari residenti in altri paesi dell’area euro ha superato il 51% nella prima metà del 2006. Successivamente è vistosamente arretrata e il livello attuale (25,3% a fine 2013) è appena un paio di punti percentuali al di sopra di quello rilevato nei primi mesi di vita dell’eurozona.

I dati relativi al circuito bancario autorizzano in larga misura (seppure non interamente) ad inquadrare la riduzione dell’esposizione delle banche tedesche e francesi verso i paesi europei più vulnerabili nell’ambito di un generale ripensamento dell’attività internazionale. Diverso il caso delle banche inglesi.

trilemma

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