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Gli alpinisti finanziari, quelli che amano l’aria rarefatta che si respira sulle cime più elevate del capitale fittizio, gli scalatori – perciò – delle montagne di denaro virtuale che il nostro sistema finanziario ama cumulare, si troveranno a loro agio passeggiando lungo i sentieri tortuosi e a strapiombo del mercato dei repo.

Da lassù, da quota 10 trilioni di dollari – tanto cubano le transazioni americane di repo – si gode la vista invidiabile di un mondo frenetico e avido, dove le persone sono talmente piccole che non esistono. E anche se esistessero, sarebbero solo puntini luminosi su uno schermo, variabili calcolabili, e, in fin dei conti, ininfluenti. O, di sicuro, assai meno interessanti del liquido circolare di tanta ricchezza, che non ha senso alcuno se non per il suo stesso esserci. Perfetta autocontemplazione di potenza che non diventa, né può diventare, autentico atto economico.

Se poi i nostri alpinisti fossero europei dovrebbero contentarsi di una montagna appena meno irta, un 6.000 miliardi di euro o giù di lì, ma comunque ormai pullulante di vita geroglifica, puramente numeraria, che però tiene in piedi il vostro bancomat e il mio. Perciò gli dei ci scansino dal rischio che prima o poi questa montagna si decumuli, perché rovineremmo con essa, giù in fondo, fino a valle.

Così almeno ci dicono i nostri banchieri centrali, novelli ghostbuster, alla costante caccia dello spettro dispettoso che genera le crisi, inesperienti abbastanza dal capire quanto contribuiscano essi stessi all’evocazione, epperò saccenti dispensatori di allarmi e suggerimenti, sebbene mai una volta abbiano impedito agli alpinisti di provocar valanghe.

Curioso, mi sono inerpicato anch’io, con l’abbigliamento occasionale del turista di spiaggia, lungo i sentieri che conducono lassù dove vive questo nuovo mostro del nostro tempo. Tutt’altro che leggendario peraltro. Vive e lotta insieme a noi. Coi nostri soldi ridotti a carburante per scorrerie da corsari.

M’è venuto in aiuto un pregevole studio della Bundesbank, pubblicato nel montly report di dicembre scorso che mi indica la strada e mi guida e al quale mi affido con dantesca fiducia, iniziando il mio viaggio all’interno del repo-mondo.

Sappiamo già che il repo è una transazione nella quale due parti danno l’una alltra un titolo in cambio di denaro, impegnandosi, la cedente il titolo, a riacquistarlo a scadenza (cd “reverse-repo”). Questa pratica finanziaria, l’italiano “pronti contro termine”, la Buba la considera ”la più importante e la più rilevante forma di transazione monetaria assicurata”, ossia basata sull’uso di un collaterale, vale a dire una qualunque obbligazione giudicata solida abbastanza da sostenere una transazione di solito operante nel breve termine. Come ad esempio , titoli di stato americani o gli Mbs, che abbiamo già visto reggono il mercato Usa dei repo, con tutte le controindicazioni del caso.

Di solito questa transazione si svolgono bilateralmente. Ma se interviene una terza parte, ad esempio una clearing house o una banca di clearing, si parla di triparty-repo. Questa pratica, negli Stati Uniti occupa la maggior parte del mercato repo. Va sottolineato che la parte che ha preso il titolo in cambio di denaro può, fino a quando non deve restituirlo, utilizzarlo a sua volta per fare altre transazioni repo. Ciò provoca che la catena del credito/debito, possa allungarsi indefinitivamente fino alla scadenza, coinvolgendo altri soggetti.

Si parla, in questi casi, di “re-hypothecation”. L’allungamento della catena aumenta, proporzionalmente, il rischio di controparte (ossia che qualcuno non paghi). Per questo la Buba sottolinea che “può essere problematica per la stabilità finanziaria”. E’ in questa lunga catena che nascono e si consolidano i rapporti fra le banche e le banche-ombra, ossia il peggior incubo dei regolatori.

Le transazioni repo vengono utilizzate dalle istituzioni finanziarie, quindi innanzitutto le banche, dai commercianti di obbligazioni, come i broker, e in generale da tutti i partecipanti al mercato dei capitali, per gestire in maniera efficiente la liquidità. Che poi significa che chi si trova in eccesso di fondi li presta a chi ne è a corto, coprendo il rischio del prestito col collaterale.

Peraltro, essendo il monitoraggio dello stato globale della liquidità essenzialmente una questione di politica monetaria, il mercato dei repo riguarda direttamente l’attività delle banche centrali, che di tale politica sono le depositarie. E ciò spiega perché la Buba ci abbia regalato un approfondimento.

L’aumento dell’importanza relativa del mercato dei repo è una delle conseguenza della grande crisi del 2008. Prima i commercianti di liquidità si affidavano all”unsecured money per i loro fabbisogni, ossia ai prestiti non garantit da collaterali, ma poi il panico del 2008, seguito al fallimento di Lehman, che era una delle controparti di questo mercato, prosciugò letteralmente questo mercato, spingendo i partecipanti verso la secured money, ossia i repo.

Le nuove regole che spinsero verso l’uso delle Controparti centrali hanno travasato dal settore OTC a quello regolamentato su piattaforma elettronica gran parte di queste transazioni. Ciò anche in quanto “il volume dei repo OTC è significativo e il processo non è molto trasparente”. Questo, unito al crescente utilizzo di questo strumento, ha aumentato l’attenzione sulla sua evoluzione, anche in ragione della possibilità che subisca gli effetti dell’annunciata tassazione sulle transazioni finanziarie.

“In Europa – scrive la Buba – il mercato dei repo è cresciuto rapidamente in termini di valore”. Un grafico mostra che fino al 2001 le transazioni repo europee non arrivavano a cumulare neanche 2 trilioni di euro. Ma poi accade qualcosa: il mercato letteralmente esplode. La curva si impenna toccando l’apice dei 7 trilioni fra il 2007 e il 2008.

Sulle ragioni di tale esplosione si può solo congetturare e affidarsi ai dati della Buba, che nota come “per le banche multinazionali tedesche i repo sono considerabilmente più importanti che rispetto all’industria bancaria tedesca nel suo complesso”. Quindi di sicuro hanno contribuito non poco alla crescita del mercato. Dai dati emerge che prima della crisi questa multinazionali bancarie gestivano il 60% del totale delle transazioni repo tedesche, per poi crollare al 35%.

La crisi riduce il volume delle transazioni sotto i 5 trilioni nel 2009. Quindi la ripresa, fra il 2010 e il 2011, quando torna a 7 trilioni, e il ritracciamento, provocato dalla crisi degli spread nel 2011, che lo riporta al livello attuale, di circa 6 trilioni.

“Il business dei repo europei – sottolinea la Buba – è molto concentrato, con 20 istituzioni che trattano circa l’80% dell’intera attività”. Il problema, spiega, è che “l’infrastruttura di mercato è profondamente frammentata”, anche perché le infrastrutture di mercato operano sia a livello nazionale che internazionale.

Alle controparti centrali (CCps), infatti, ossia le principali ckearing house europee, si affiancano i sistemi di deposito accentrato, ossia i Central securities depositories (CSDs), che continuano a svolgere un ruolo rilevante nel mercato dei repo, in quanto custodiscono i titoli che collateralizzano queste transazioni. Queste ultime entità, che come anche i CCPs sono entità private, agiscono su un doppio livello, sia nazionale che internazionale (ICSDs). A quest’ultima categoria appartengono la belga Euroclear e la lussemburghese Clearstream. A entrambe l’unificazione monetaria ha fatto un gran bene, visto che hanno potuto rivolgere le loro gentili cure a tutti i titoli denominati nella valuta unica.

A luglio del 2013 le due ICSDs e le due CCPs più rilevante della zona euro, ossia Clearstream Banking Ag e Eurex Clearing AG, si sono accordate per far funzionare meglio le varie procedure. Vi risparmio il dettaglio tecnico. Lo scopo, ovviamente, è sempre lo stesso: far girare meglio i soldi per poterne fare di più.

L’integrazione europea del mercato dei repo, spinta dall’Unione monetaria da un parte, e dalla stretta cooperazione in fieri fra i colossi del clearing e del depository, ha alzato il livello di attenzione della Bce su tale mercato. anche perché la Banca centrale usa i repo a sua volta per la sua analisi sulla strategie da seguire nella politica monetaria. E fra gli strumenti che la Bce usa ci sono anche le operazioni di rifinanziamento, ossia la fornitura di liquidità alle banche commerciali in cambio di collaterale.

La Bce, insomma, è prima attrice nel mercato del repo, e questo potrebbe spiegare il grande sviluppo di questo strumento a far data dall’inizio dell’Unione monetaria. Sostanzialmente, quando una banca commerciale fa un repo con un’altra banca, non fa altro che replicare quello che, in origine, fa una banca centrale: immette liquidità nel mercato. Si può dire, anzi, che il mercato dei repo è un’invenzione delle banche centrali.

E in effetti è proprio così. La prima banca centrale che inventò i repo fu la solita Fed, nel 1917.

Non a caso in quel tempo l’America era in guerra.

(1/segue)

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